Sono davvero troppi i casi in cui i magistrati portano in aula persone che alla fine vengono prosciolte da ogni capo di accusa. Il fatto che il proscioglimento arriva dopo che alcuni di questi malcapitati finiti nel tritacarne della giustizia vengono sì assolti ma rimangono rovinati per sempre. Gli ultimi a pagarne le spese l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino e l’ex governatore del Piemonte Roberto Cota. Marino era stato preso di mira dai magistrati per una faccenda di scontrini e ricevute.
Un sindaco in quota Pd eletto con un largo consenso nel giugno 2013 e costretto a dimettersi il 31 ottobre dello scorso anno. Il marziano, così lo soprannominarono perché si trattò del primo cittadino non nato nella capitale, che dopo essere stato portato in trionfo dai democratici fu oltraggiato, esposto vergognosamente al pubblico ludibrio, umiliato e infine scaricato dai suoi stessi compagni di partito.
Neppure una discussione in aula consiliare per arrivare alla sfiducia, del resto sarebbe stato un passaggio istituzionale necessario e corretto. Invece no, il Pd passò subito alle forme più sbrigative infischiandosene della dignità di Marino. Il commissario dei democratici Orfini, su ordine di Renzi, raccattò in fretta e furia le 27 firme dei consiglieri comunali di maggioranza e le portò davanti a un notaio e Marino fu fatto fuori, scaricato, gettato a mare proprio dai suoi sodali. Adesso sì, è arrivata la rivincita, certo, ma quando ormai tutto è perduto. Triste consolazione per Marino che non è un disonesto, non è un maneggione che voleva viaggiare a scrocco, così ha stabilito la sentenza quando il pubblico ministero aveva chiesto addirittura una condanna a tre anni.
Troppi i flop della giustizia. I magistrati che sbagliano devono pagare i danni
Ora, al di là di tutto, ci si domanda che tipo di indagine può avere effettuato il pm che ha inchiodato alla croce il primo cittadino della capitale se alla fine della fiera l’imputato risulta non aver commesso il fatto.
Stesso vicenda ( dai contorni addirittura ridicoli) per le mutande acquistate del leghista Roberto Cota, che secondo l’accusa sarebbero state pagate con soldi della Regione Piemonte al tempo in cui Cota era governatore. Secondo il gup tali esborsi rientravano nel capitolo di spese legittime e non nel peculato. Da allora sono passati circa tre anni e intanto Cota non è più governatore. Riuscirà a tornare in pista?
Dal caso Tortora, purtroppo, i fallimenti di una certa magistratura alla ricerca di carriera e potere non si contano più. Tra i casi più eclatanti è la notizia che riguarda un’altra vicenda di grande impatto mediatico: “mafia capitale”. Tra le oltre cento richieste di archiviazione emesse dalla procura di Roma vi sono un paio di esponenti di peso del mondo politico.
Si tratta di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma in forza a quello che fu Alleanza Nazionale, e l’attuale governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Amministratori tirati in ballo da alcuni imputati senza che di fatto vi fossero elementi sufficienti. Per verità di cronaca il lavoro dei magistrati è quello di muoversi quando questi fiutano il presunto malaffare e da qui la possibilità di formulare l’ipotesi di reato. Ma nel frattempo di acqua sotto i ponti ne passa, troppa ne passa.
Non parliamone poi se l’obiettivo sono amministratori e personaggi politici. In questi casi la fuga di notizie dalle procure è all’ordine del giorno e lo sfortunato che ha ricevuto solo un avviso di garanzia si ritrova da un momento all’altro sui giornali come fosse un delinquente incallito, un intrallazzone, il balordo da condannare.
Dall’indagine ad arrivare poi alla sentenza possono passare anni mentre l’imputato è finito ai margini, umiliato, distrutto. E l’umiliazione subita non può d’incanto sparire neppure con una sentenza di assoluzione. La dignità umana non ha prezzo e
i magistrati che sbagliano devono pagare i danni commessi.