Fino a poco tempo fa la domanda a proposito della maggioranza di Governo era: dureranno? Oggi è quanto dureranno? Infatti la maggioranza giallo verde sembra ormai giunta al capolinea.
Al gravissimo problema, troppo a lungo sottovalutato, della inadeguatezza del personale politico espresso in seno all’Esecutivo da entrambi i partiti alleati ed in particolare del M5S, si è aggiunta l’offensiva micidiale, portata alla leadership di Luigi Di Maio dall’ala sinistra del Movimento, che fa capo a Fico e Di Battista. La percezione del problema, giunta ovviamente nelle stanze della Commissione europea, ormai si sta facendo strada anche negli elettorati delle due formazioni politiche, che hanno dato vita alla coalizione. Inizialmente sembrava che fosse in atto un cammino di avvicinamento per rispondere e cercare di far convergere le esigenze di cambiamento di passo richieste dalla borghesia produttiva che vota Lega al Nord, con quelle del proletariato protestatario e disoccupato che ha sposato al Sud il movimento pentastellato. Molti osservatori pensavano che un simile percorso, necessitato dall’esigenza di non rompere l’alleanza, si sarebbe concretizzato in una politica di ampliamento della spesa pubblica per tenare di venire incontro alle pur completamente diverse esigenze dei due elettorati. Invece sono via via emerse posizioni inconciliabili. La Lega ha di fatto dovuto rinunciare alla più importante richiesta del mondo produttivo che essa rappresenta, del superamento di una pressione fiscale divenuta espropriativa, attraverso la Flat tax. Salvini su tale richiesta ha subito il no secco e definitivo dell’alleato a toccare le aliquote maggiori, anche attraverso una riduzione progressiva, accontentandosi del semplice ampliamento della platea dei lavoratori autonomi tassati al 15%. Si è invece trovato concorde con il M5S nella decisione di anticipare l’età pensionabile a coloro che rientravano nella cosiddetta area del coefficiente 100 tra età anagrafica ed anni di contributi versati, nonostante il costo elevato della misura rispetto alla sua effettiva utilità. Ha dovuto infine accettare l’imposizione del reddito di cittadinanza, che, con grande dispendio di risorse pubbliche, premierebbe, oltre alla disoccupazione di necessità, anche quella volontaria, incentivando la pratica scorretta del lavoro nero. Entrambi gli alleati si sono ovviamente trovati in forte contrapposizione con la Commissione Europea sulla valutazione complessiva degli effetti della manovra 2219, non tanto per quanto attiene al deficit, previsto nella misura del 2,4%, ma principalmente in ordine alla previsione di crescita, indicata in un fantasioso 1,5%, che nessuno giustamente condivide. Inoltre l’ala sinistra del M5S spinge per ottenere maggiore spesa pubblica, oltre a quella del sussidio improduttivo del cosiddetto reddito di cittadinanza, per poter realizzare nuove statalizzazioni, compreso l’ennesimo rifinanziamento pubblico del pozzo senza fondo dell’Alitalia, più volte fallita e strafallita.
Si è prodotto quindi l’effetto di un sensibile allontanamento dei due elettorati di riferimento, con segnali sempre più chiari da parte di quello leghista in favore di una ricomposizione dell’alleanza di centro destra, che nelle Regioni del Nord funziona egregiamente. Induce altresì ad una attenta riflessione la crescita del Partito del PIL, che si sta facendo sentire in diverse manifestazioni, dopo quella partecipatissima di Torino. Se tale forma spontanea di protesta, ancora principalmente affidata allo spontaneismo, ma sostenuta da tutte le associazioni del mondo produttivo, che fanno capo alla piccola e media impresa industriale, all’artigianato e al commercio, dovesse crescere ulteriormente ed indirizzarsi verso la costituzione di una concreta iniziativa politica, il partito di Salvini, che ha raccolto consensi a piene mani in tale area, potrebbe risultarne fortemente penalizzato. Di fronte alla assoluta mancanza di credibilità e professionalità di un Governo, vocato soltanto alla occupazione del potere ed all’allargamento della spesa pubblica, ignorando l’urgenza di un suo contenimento e moralizzazione per agire sull’enorme debito accumulato, il PLI non può non prendere le distanze da una linea, che giudica scellerata e dichiarare invece il proprio pieno sostegno al nascente partito del PIL, di cui condivide tutte le ragioni.