Continua l’imperversare delle critiche sulle scelte economiche del governo giallo-verde, soprattutto da parte del PD.

Insegnanti d’università, managers (pubblici) nominati dai precedenti governi, imprenditori, per lo più in affari col sistema pubblico, perfino vescovi, prevedono prospettive fosche per l’Italia e gli italiani. E così si associano ai (loro) empatici leaders europei (da Juncker a Moscovici). Non c’è personaggio il quale, come dicono gli spagnoli, abbia buscado un lugar en el presupuesto (cercato – e ricavato – una nicchia in qualche bilancio pubblico) che non abbia scagliato il proprio anatema attingendo agli argomenti più vari.

Tutti meno quello più persuasivo ed efficace: che i risultati conseguiti dai governi della seconda repubblica fossero tali da accreditare le relative forze politiche. Perché in effetti c’è poco di accreditabile.

Quando s’insediò il governo “tecnico” (e a seguire, anche se con più contenuto entusiasmo, i successivi, fino a quello Gentiloni) i media italiani, (della cui verecondia non è lecito dubitare), si sciolsero in peana a tanta competenza e rigore. Ora che se ne sono visti i risultati, è tutto un oblio. Garruli prima muti dopo: il comportamento di alcuni giornali è più eloquente degli articoli che vi si leggono.

Tant’è, ma è il caso di chiedersi perché governi improntati al “rigore” abbiamo avuto una sorte così cinica e bara.

All’uopo possiamo paragonare il loro all’operato di una classe dirigente che del rigore aveva fatto il proprio obiettivo: la destra storica, che perseguì quello (e l’altro, più importante, del completamento e consolidamento dell’unità nazionale) con indubbia coerenza ed energia.

E, all’uopo realizzò il pareggio di bilancio attraverso il contenimento delle spese e l’aumento delle imposte, non escluse quelle più odiose ed odiate, come la tassa sul macinato (auspice Quintino Sella), a prezzo di rivolte e di non pochi morti. Ma quando Marco Minghetti dichiarò alla Camera nel 1876 che il bilancio dello Stato presentava – dopo tanti anni – un avanzo, l’obiettivo di tante tribolazioni, oltretutto dovute alla ricerca di risultati confliggenti  tra loro (l’unità nazionale presupponeva forti spese per le forze armate, il pareggio di bilancio il contenimento di quelle), tutti capirono che oltre a Venezia e Roma, la destra storica aveva vinto anche questa battaglia. Per tutti questi risultati conseguiti la destra storica è stata considerata la migliore tra le classi dirigenti post-unitarie. Se andiamo, di converso, a vedere le realizzazioni – in relazione agli obiettivi esternati – dei governi italiani dal novembre 2011 a marzo 2018 abbiamo che: quello “tecnico” di Monti doveva ridurre il rapporto debito/PIL e l’ha aumentato di 10 punti – ai restanti hanno provveduto i successori; doveva ridurre le spese e l’ha aumentate di circa il 7% (e l’andazzo è continuato).

Per fare ciò, ha aumentato le imposte, gloriandosene perfino.

Infatti l’IMU è stata la tassa sul macinato di Monti; la riforma pensionistica, la “politica della lesina” della Fornero. Quindi tanti sacrifici non hanno portato ad alcun risultato (esternato, nel richiederli, dalle élite). Se poi aver annesso Roma e Venezia è l’altro – e superiore – merito della destra storica, è invece connotato di questi ultimi aver preso ordini da Bruxelles (vantandosene “ce lo chiede l’Europa”), esternato e da Berlino (occultato – ma neppure tanto).

Max Weber scriveva che vi sono due etiche (nell’azione pratica) quella delle intenzioni per cui si giudica in base alle intenzioni (se buone o cattive) dell’agente; ossia dei risultati conseguiti. In politica e nel governo delle comunità, dove le decisioni pubbliche producono risultati non solo per l’agente, ma per tutti, prevale quella della responsabilità. Un “profeta disarmato” anche se benintenzionato può risultare dannoso non solo a se stesso, ma a tanti. Da ciò l’etica della responsabilità – e i giudizi che ne conseguono tenendo conto dei risultati – è quella prevalente in politica, e, quella con cui sono valutati i governanti. Il dovere dei quali è fare l’interesse generale: il potere dei governati è di valutare se l’hanno conseguito e se meritino di continuare a governare.

Non si lamentino quindi se, dopo tanta mediocrità, l’elettorato ne ha tratto la conseguenza logica. Sarebbe stupefacente il contrario.

di Teodoro klitsche de la Grange