Matteo Salvini ha dimostrato una indiscutibile abilità. Dopo essere riuscito, meglio di tutti ed in modo più credibile, ad interpretare i disagi e le paure degli italiani, riportando alle urne molti che si erano rifugiati nell’astensione, in pochi mesi da elezioni politiche, in cui si era presentato come campione della nuova destra, ha saputo posizionarsi al centro del sistema con la rapidità di un felino. Oggi è in grado, forte di sondaggi favorevoli che ne sottolineano la continua ascesa, di gestire una nuova stagione di politica dei due forni. Come sempre, non bastano le qualità di un uomo, ma aiutano le circostanze. In una fase storica di impopolarità dei partiti, egli è riuscito ad imporsi all’attenzione come leader indiscusso di un soggetto politico, che ormai non è più identificato come la Lega, ma come il partito di Salvini. Il declino per logoramento e per ragioni anagrafiche di Berlusconi lo ha certo favorito, ma determinante è stato l’assoluto fallimento di Renzi, che pure una chance l’aveva avuta, e che inoltre ha dimostrato la presunzione di pensare di poter rimanere in campo dopo la cocente sconfitta referendaria. Quel che rimane del PD appare condannato per l’inconsistenza degli altri notabili , che si rivelano soltanto capaci di combattersi a vicenda, senza riuscire a nobilitare lo scontro sul terreno delle visioni politiche di una sinistra che ha perso il contatto con i ceti che aveva rappresentato in passato. Il leader leghista aveva capito che l’unico antagonista vero nelle elezioni di marzo era il M5S, anch’esso destinatario di un grande consenso proveniente dall’area del non voto, particolarmente al Sud.
Subito dopo, le scelte possibili erano soltanto due: lo scontro frontale ed elezioni anticipate dall’esito incerto, oppure la anomala alleanza giallo verde. Scegliere la seconda strada si è dimostrata la via strategicamente più vantaggiosa, anche perché rafforzata da uno scatto di partenza bruciante nell’attività di Governo, che ha spiazzato tutti, a cominciare dagli alleati, costretti ad annaspare, e che ha regalato al Ministro degli Interni sondaggi da capogiro. Di fronte alle prime incrinature del movimento pentastellato, che hanno imposto a Di Maio di alzare la posta nella trattativa sulla finanziaria, la mossa di Salvini di dimostrare che era in grado, quando e come voleva, di ricostituire l’alleanza di Centro-Destra, è stata vincente. Gli è poi venuta in soccorso la stupidità della iniziativa di Fico di avviare trame col morente PD. Questo ha indebolito Di Maio, che uscirà penalizzato nella definizione del DEF e sarà costretto a proteggersi più dagli attacchi sul fronte interno che dalla competizione con la Lega in seno alla coalizione di maggioranza. Andare ad elezioni anticipate subito infatti significherebbe la prematura conclusione della sua carriera politica e la spaccatura del movimento.
Lo scenario sembrerebbe riservare a Salvini praterie di consensi ed un salvacondotto per Palazzo Chigi. Le cose tuttavia nella realtà sono sempre più complesse. L’alleanza giallo verde non è destinata a rompersi a breve termine, comunque non prima del giro di boa delle elezioni europee. Un eventuale arretramento elettorale grillino potrebbe far prevalere la componente di sinistra di quel soggetto politico per orientarsi verso un accordo elettorale con un PD significativamente derenzizzato, dopo il Congresso, per giocare una partita elettorale di scontro bipolare destra contro sinistra. Ancora una volta a decidere saranno i voti della componente centrale moderata dell’elettorato italiano, che ha dimostrato di non aver più la fiducia di un tempo in un Silvio Berlusconi ridimensionato dalle molte sconfitte e dai numerosi punti deboli ormai evidenti. Per vincere non basterà il posizionamento centrale di Salvini, il quale tuttavia non potrà rinunciare ad una linea, anche tattica, di stampo populista e sovranista, poco rassicurante per gran parte della borghesia. Sarà quindi strategica non soltanto l’alleanza con la componente liberale, ma una sua forte visibilità, come garanzia di moderazione, principalmente sugli equilibri di una nuova proposta di rilancio dell’iniziativa politica europea. Infatti è palese che il sovranismo nazionalista ha il respiro corto e può servire soltanto in una fase confusa, come quella attuale, per cavalcare la protesta. Dopo, forse ripartendo dalla novazione del patto originario tra i Paesi fondatori, o comunque tra quelli che hanno compiuto la scelta di adottare l’euro, bisognerà inevitabilmente lavorare ad una nuova Costituzione europea, non ambiziosa e complessa come quella, firmata a Roma nel 2005 ed affondata dai referendum francese e olandese, ma che abbia come obiettivo ineludibile gli Stati Uniti d’Europa e Matteo Salvini è troppo intelligente per non sapere che questa é la strada del futuro.
di Stefano de Luca – Partito Liberale