La elezioni europee fissate per il prossimo maggio rappresentano indubbiamente un test importante per le forze populiste, una sorta di referendum tra nazionalisti da un lato e liberal-europeisti dall’altro.
In questo senso l’incontro della scorsa settimana a Milano tra il primo ministro ungherese Viktor Orbàn e il ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato qualcosa di più di un inizio di una bella amicizia. Non possiamo certo nasconderci che la partnership anti-immigrati formata da questi due leader è sostanzialmente fondamentale perché potrebbe formare il germe di una nuova coalizione in Europa.
Ora è impensabile un atto di forza, una sorta di “golpe” nell’eurozona. Dobbiamo considerare che c’è molta latenza in questo sistema di pseudo-unione, l’aritmetica elettorale dell’europarlamento rende del resto impossibile perfino per due gruppi politici e non solo per uno formare un gruppo di maggioranza. Ma se i nazionalisti otterranno un buon risultato – e tutto fa pensare che sarà così – potrebbero essere nella condizione di forgiare una coalizione non ufficiale. Con chi? Bene, con Fidesz, il partito di Orbàn, membro del Ppe che è il più grande gruppo di centrodestra europeo. A questo si aggiunga la Lega che fa parte della formazione “Delle Nazioni e delle libertà” che include il “Front National” di Marie Le Pen. E a ingrossare le fila c’è un altro soggetto politico di destra conservatrice che include i conservatori britannici e il partito “Legge e giustizia” in Polonia. Ora se tale ipotesi dovesse trovare concretezza sarebbe in grado di formare un’onda d’urto capace di demolire la casta dell’Ue.
Queste varie compagini vogliono in sostanza rinazionalizzare la politica migratoria ma l’interrogativo è se i nazionalisti riusciranno a cooptare un numero sufficiente di esponenti del Ppe nel loro fronte, oltre a Orbàn naturalmente. E se tale strategia sarà messa in atto potrebbe avere successo. Finora i nazionalisti sono riusciti ad evitare una trappola, ovvero non hanno mai ceduto alle richieste dell’Italia che, come sappiamo, fanno riferimento al altre quote di rifugiati in Europa.
Oltretutto a tale riguardo non va dimenticato che il premier ungherese è tra quelli che hanno bloccato questa misura di
accoglienza nel tempo.
Dunque Orbàn e Salvini difendono sì interessi diametralmente opposti ma hanno contestualmente un obiettivo strategico più ampio che li unisce: dimostrare che questa Ue non è in grado di formulare una politica vera, funzionante, all’altezza delle grandi questioni che negli ultimi anni si sono aperte e attendono adeguate risposte. Più questo fallimento di Bruxelles sarà evidente più facile sarà per i populisti rinazionalizzare le politiche migratorie.
Va aggiunto che il sentimento anti-immigrazione è penetrato in profondità anche nel Ppe. Ricordiamo che la più recente crisi di governo in Germania è stata provocata da una proposta del Csu, il potente partito bavarese di Horst Seehofer ministro dell’Interno alleato con la Cdu di Angela Markel, di respingere alcuni rifugiati dalle frontiere. Ormai non è un mistero che non pochi deputati della Cdu sono estremamente critici riguardo le politiche pro-migranti della cancelliera. All’interno del Ppe i cosiddetti pro-migranti hanno ancora una maggioranza anche se è difficile definire pro-europea una premier tedesca così riluttante a riformare la zona euro.
Detto questo rimane una differenza qualitativa tra i centristi che difendono lo status quo come Merkel e gli altri europei come Orbàn che vogliono far saltare gli attuali sistemi di potere. Alcuni all’interno dello stesso Ppe vorrebbero sbarazzarsi del primo ministro ungherese ma finora non ci sono riusciti. Anche perché il Ppe non può permettersi di perdere Orbàn: dopo la tornata elettorale di maggio l’aggregazione avrà ancora più bisogno di lui semplicemente perché nel complesso
il gruppo parlamentare perderà molti seggi mentre il contingente di Orbàn rimarrà forte e il suo peso relativo aumenterà. Di questo non c’è dubbio.
La più grande delegazione del Ppe, quella dei cristiano democratici tedeschi, è molto più debole rispetto a cinque anni fa. Non sta meglio
il centrodestra francese che si è parecchio ridimensionato assumendo un profilo euroscettico. Male Forza Italia che è data sotto la soglia del 10%, mentre il partito popolare spagnolo si è notevolmente indebolito dopo aver perso il potere a Madrid. Quanto al centrosinistra rischia di subire perdite ancora più pesanti. In Francia e Olanda i partiti socialisti sono implosi nelle ultime elezioni interne e il Pd che con Renzi aveva ottenuto nelle europee 2014 il 40% ora è dato sotto il 20%. Del resto lo stesso andamento viene registrato per i socialdemocratici tedeschi.
Insomma, quel che si può immaginare con un elevato grado di certezza è costituito dal fatto che il centrosinistra e il centrodestra non saranno più nella condizione di formare una grande coalizione pro Europa e di conseguenza non potranno più fissare l’agenda politica.
Di fatto Ppe e Pse saranno schiacciati dai due nuovi entrati nel quadro politico europeo: da un lato i nazionalisti anti-immigrati e dall’altro i liberali pro-europei capitanati dal presidente francese Emmanuel Macron. Quest’ultimo la settimana scorsa è stato impegnato in un tour alla ricerca di alleati politici per le europee. Sembra che un terreno fertile sia il versante liberale in Spagna ma a conti fatti l’inquilino dell’Eliseo ne ha ancora tanta di strada da fare giacchè non ha ancora trovato altrettanti potenziali alleati in Italia e Germania.
Dunque le elezioni saranno determinate proprio in gran parte dalla scommessa di Macron che vuole un fronte costituito da forze europeiste. Ma i nazionalisti su questo versante hanno un vantaggio da non sottovalutare: hanno le mani libere, sono meno gelosi gli uni con gli altri come invece lo sono sul fronte opposto e Merkel e Macron, malgrado le apparenze, sono in realtà antagonisti sulla strategia politica dopo che la cancelliera ha rigettato tutte le idee del presidente francese per riformare la zona euro.
La sfida posta dai nazionalisti è dunque più seria di quanto i numeri dei sondaggi suggeriscano. Salvini e Orbàn sono ora in grado di determinare il campo di battaglia in cui è atteso Macron… se sarà in grado di trovare in questi mesi i compagni di cordata capaci di contrastare lo tsunami populista.