Il magico mondo dei buonisti è meraviglioso, altro che Paese dei Balocchi di Pinocchio o Paese delle Meraviglie di Alice.
Nel fantastico universo buonista la realtà non esiste, sostituita da una narrazione conformista che manipola ed adatta i fatti trasformandoli in banali stereotipi politicamente corretti che vengono propinati al volgo come verità rivelate ed assolute.
E quando la realtà, come inevitabile, va in direzione ostinata e contraria ecco il testacoda etico, il paradosso morale, dove bene e male si confondono e annullano in nome di pseudo principi superiori ed assoluti obliterando le più elementari regole di civiltà e i più comuni principi etici.
E’ il caso, ad esempio, di Edoardo Albinati, scrittore ed intellettuale cattoprogressista, vincitore del premio Strega nel 2016, il quale presentando il suo ultimo libro a Milano non ha perso l’occasione di dire la sua sulla vicenda della nave negriera Aquarius: “Io stesso, devo dire, con realpolitik, di cui mi sono anche vergognato, ieri ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede per il nostro governo”.
Augurarsi la morte di un bambino per mettere in difficoltà l’avversario politico: è questo il modo immaginato da personaggi che si considerano moralmente superiori per affermare i loro principi di presunta civiltà.
Una posizione non certo isolata e che probabilmente occupa i pensieri di molti cervelli buonisti vedi, ad esempio, Massimo Giannini di Repubblica il quale, ospite del felpato e fazioso salotto televisivo della Gruber, ha evocato, sia pure con toni più cauti, meno sguaiati ed in un contesto più articolato, lo stesso tragico scenario.
Non certo una novità per le menti della sinistra italiana, in fondo anche alla base delle azioni criminali delle Brigate Rosse c’era un ragionamento simile: imporre ad ogni costo un principio superiore considerato intrinsecamente giusto sacrificando per questo singoli innocenti come se fossero dettagli insignificanti della storia e non esseri umani.
Uno spettacolo penoso e vergognoso, in cui i cervelloni buonisti dall’alto dei loro salotti esclusivi, dei loro attici dei quartieri alti, dei loro milionari conti in banca ci vomitano addosso una valanga maleodorante di parole violente e senza senso: “Mettere a rischio la vita di decine di persone è un comportamento da banditi” (Saviano); “il governo gialloverde ha un abbinamento di colori che già fa un po’ schifo, ricorda un po’ vomito e bile” (Vauro); “Salvini vuole tagliare i soldi ai migranti ma stia attento che prima o poi gli taglieranno le palle. Ma cosa vuole tagliare? È una cosa da pirla, gli immigrati non ingrassano come lui, non c’è nessuna pacchia” (Oliviero Toscani, che in pieno delirio da esternazione profetizza addirittura per Salvini un processo di Norimberga); “ministri razzisti e sbirri alla guida del mio Paese” (Gino Strada).
D’altra parte ragionare da buonisti è facile: basta modificare la realtà piegando i fatti alle proprie convinzioni.
Il loro film è congelato solo sul frame che coglie gli sventurati in mezzo al mare, limitato ad una visione parziale e manipolata incentrata sulla finta e subdola alternativa salvare o lasciare annegare.
Bisognerebbe, invece, riavvolgere la pellicola e vedere tutto il film, dall’inizio.
I disgraziati di cui sopra sono in mare perché qualcuno ce li sbatte per guadagnare più che col traffico di droga, sapendo che qualcun altro, anche lui con un suo tornaconto, li andrà a ritirare a domicilio e ce li consegnerà puntualmente qui, e solo qui, dove un colossale sistema burocratico e consociativo (cooperative rosse, organizzazioni religiose, Onlus misteriose, finti imprenditori senza scrupoli, affaristi del sottobosco politico) prosperato su malaffare e affarismo e tarato sulla grassazione di danaro pubblico nemmeno rendicontato (5 miliardi delle nostre tasse) li gestisce a sua volta, in modo spesso indecente, per guadagnarci sopra cifre astronomiche.
Una bella filiera criminale ad alto valore aggiunto costruita sulla pelle di centinaia di migliaia di sventurati, oggetto di commercio come gli schiavi delle navi negriere del ‘700, messa in piedi con la connivenza di governi imbelli e incapaci (nella migliore delle ipotesi) e il plauso incondizionato dei clown da salotto come quelli sopra citati, permettendo così ai sepolcri imbiancati buonisti di mettersi a posto la coscienza.
Basta far finta di non vedere che fine fanno i traghettati: manovalanza della malavita, puttane prigioniere della strada, minori che spariscono chissà dove, schiavi nei campi di pomodori trattati peggio di quelli dell’Alabama di 200 anni fa, se va bene mendicanti di strada.
Tra i sepolcri imbiancati buonisti occupano un posto d’onore quei preti e quei prelati che usano il vangelo solo per quanto fa comodo: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,43) ripetono in continuazione, dimenticando, però, che proprio secondo il Vangelo amministrare anime ed amministrare la cosa pubblica sono due mestieri molto diversi “È lecito, o no, che noi paghiamo la tassa a Cesare?. Rendendosi conto della loro malizia, disse: Mostratemi un denaro: di chi porta l’immagine e l’iscrizione?. Risposero: Di Cesare. Ed Egli disse: Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio” (Luca 22-25).
Sono gli stessi che non si preoccupano di quella strana forma di carità, molto poco evangelica, praticata da molte organizzazioni religiose che oramai assistono solo quelli per i quali vengono generosamente retribuite dallo Stato lasciando in mezzo ad una strada chi, non essendo straniero, è fuori dal business e non rende niente.
Eppure l’equazione alla base del problema è semplice: più navi-taxi = più gente in pericolo = più morti.
Non viceversa come vogliono farci credere dal circo buonista, che finisce per diventare oggettivamente complice del traffico e del malaffare.
Più li vai a prendere più metti a rischio le vite dei disperati e più guadagnano trafficanti e traffichini.
In questo contesto l’Italia governata da buonisti sprovveduti e senza dignità si era cucita addosso la parte del servo sciocco, del cameriere zelante che deve compiacere ad ogni costo, senza nessuna decenza, i più forti.
Così l’Italia è diventata la discarica dei problemi di tutti: in cambio di una pelosa benevolenza abbiamo portato qui e ci siamo tenuti, a spese nostre (il contributo Ue è meno del 3% della spesa totale), quasi tutti quelli che sono arrivati, succubi dei manovratori di Bruxelles, Berlino e Parigi che non dovevano essere disturbati.
Anzi, per ringraziare del favore di averci scaricato la patata bollente lo statista Gentiloni aveva pure cercato di cedere graziosamente le nostre acque territoriali ai cari cugini francesi, quelli che adesso ci definiscono “vomitevoli”.
Ora che la musica è cambiata e che osiamo alzare la testa rivendicando la nostra sacrosanta sovranità ed autonomia apriti cielo, con i soliti Francesi che dopo avere chiuso un anno fa i loro porti, sigillato le frontiere ed avere accettato meno del 10% dei ricollocamenti previsti dagli accordi europei, ci propinano repellenti lezioni di finta moralità alternate a minacce ed insulti.
Naturalmente per la gioia e il tripudio dei collaborazionisti nostrani che pur di andare contro l’avversario politico non esitano a calpestare l’interesse nazionale, seguendo la secolare tradizione della storia italiana per la quale pur di andare contro la fazione avversaria ci si mette al servizio dello straniero di turno e si favoriscono i suoi interessi a scapito dei nostri.
E’ chiaro che il problema non si può risolvere né con le preghiere, né con le buone intenzioni e neppure predicando fumosi principi teorici, anche se politicamente corretti.
Servono decisioni serie, capacità di applicarle e la forza per resistere ad attacchi ipocriti e strumentali.
Nel Mediterraneo non ci sono solo i porti italiani e non possiamo essere il ricovero, a scapito dei nostri concittadini bisognosi, di tutti gli africani che vogliono emigrare.
La realtà è questa; non sarà bella, non sarà poetica, non sarà gradevole ma non si può cambiare.
I signori buonisti cattolici o di sinistra o tutti e due, le anime belle che in nome dei loro principi astratti diventano in concreto complici di un turpe e gigantesco traffico di esseri umani se ne facciano una ragione.
Casomai se proprio volessero fare qualcosa per combattere il dramma dell’emigrazione potrebbero andare in Africa (sul serio però, non come il parolaio buonista Vetroni) a dare un aiuto concreto per eliminare le condizioni che generano il fenomeno, magari utilizzando una parte dei lauti guadagni che le raccomandazioni politiche ed il conformismo culturale italiota gli hanno sempre assicurato.
Ovviamente è molto più difficile, faticoso e costoso che pontificare da un salotto dei Parioli, da una terrazza di Capalbio, da un account di Twitter o dai pollai dei talk show….
Massimo Weilbacher – Il Primato Nazionale