Dopo i risultati delle regionali in Friuli Venezia Giulia la Lega conferma la sua egemonia al nord. E Salvini conta ora proprio su questa netta vittoria per pesare ancor di più sui negoziati inerenti alla formazione di un auspicabile governo. Una avanzata  era del resto attesa, dopo il responso del 4 marzo scorso, ma nessuno immaginava che sarebbe stata di tali spettacolari proporzioni. Con il 57%  delle preferenze Massimiliano Fedriga, esponente di punta leghista, ha letteralmente stracciato la concorrenza formando così la triade settentrionale diventando, dopo Zaia nel Veneto, Fontana in Lombardia, il terzo governatore di Regione rappresentante dei colori della Lega.  Con il trionfo del neo eletto, che prenderà il posto della dem Debora Serracchiani, l’intera  coalizione di centrodestra, grazie al traino del Carroccio, ha ottenuto un buon esito: Forza Italia cresce di quasi due punti percentuale rispetto alle politiche passando dal 10,67% al 12,1%. Non male anche Fratelli d’Italia, partito che si attesta intorno al 5,5%.
Ma il risultato più impressionante è stato il tracollo del Movimento 5 Stelle. Il suo candidato semi sconosciuto Alessandro Fraleoni Morgera non è riuscito a uscire dall’anonimato e il verdetto è stato impietoso. Il movimento di protesta è passato dal 33% delle ultime politiche all’11% di consensi per Fraleoni Morgera mentre per la lista è andata ancora peggio. Un risposta che può essere legata anche all’impressionante astensionismo ma contestualmente può essere letta anche come una conferma dell’incapacità dei grillini di mobilitare gli elettori in elezioni intermedie senza dimenticare la probabile debolezza del vivaio dei 5 Stelle sul versante dei candidati locali.
Per contro il Pd non è uscito così male da questa tornata: con il 28,5% dei voti il candidato Sergio Bolzonello, ex vicepresidente della giunta Serracchiani, ottiene un risultato quasi insperato. Con ogni probabilità questa risposta elettorale è riconducibile a una campagna mirata che ha visto – preso atto del clima da resa dei conti che serpeggia nei vertici nazionali del partito – la “discrezione” dei dirigenti Pd di tenersi alla larga dalla competizione friulana limitando la loro presenza per non danneggiare il candidato.
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Naturalmente a Roma gli stati maggiori delle segreterie hanno guardato con estrema attenzione al segnale lanciato dagli elettori friulani in  questo appuntamento con le urne dopo il 4 marzo. Gli occhi sono puntati, inutile dirlo, verso la difficile relazione tra grillini e  la sinistra dopo il fallimento dei negoziati tra 5 Stelle e la destra. Ma le trattative con i dem si scontrano soprattutto con l’opposizione di principio dell’ex segretario Matteo Renzi che di intese con il Movimento non ne vuole  neppure  parlare.
Immediatamente Di Maio ha proposto a Salvini il ritorno alle elezioni anticipate, ma a dire il vero non si capisce se questa mossa faccia parte di una strategia o se si tratti di un semplice  espediente per fere pressioni sulla sinistra. Il leader dei pentastellati imprime dunque una accelerazione nel tentativo di rompere lo stallo politico dopo aver riconosciuto il fallimento degli sforzi del proprio partito per mettere in piedi un governo in grado di guidare questo sciagurato Paese. “A questo punto non c’è soluzione, dobbiamo tornare alle urne – ha detto in un videomessaggio postato su Facebook – Il modo i cui i partiti hanno pensato ai propri interessi, alle loro poltrone è vergognoso”. Ricordiamo che il Movimento 5 Stelle è il partito che ha guadagnato il maggior numero di consensi il 4 marzo scorso conquistando un incredibile 33%  giocando soprattutto sulla rabbia contro l’establishment    politico nazionale e sullo scontento popolare per la crisi economica.
Tuttavia non hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, come prevede questa  demenziale legge elettorale votata da tutti meno  dai 5 Stelle, e nell’ultimo mese hanno cercato di formare alleanze con l’estrema destra, la Lega, e con il Pd con l’obiettivo di portare Di Maio a palazzo Chigi. Questi sforzi, che hanno avuto come arbitro il presidente della Repubblica
Sergio Mattarella, non hanno però portato a nulla aumentando così la convinzione che solo con nuove elezioni la situazione possa sbloccarsi. Anche Salvini, altro grande vincitore populista delle elezioni politiche, ha suggerito che un ritorno al voto potrebbe essere l’unica via di uscita per l’Italia. Di certo il caos politico rimane e le ripercussioni vanno oltre i confini nazionali aprendo di conseguenza  un grande interrogativo che grava non poco sull’Unione europea. Nuove elezioni potrebbero inquietare gli investitori e gli esponenti politici del club dei 28 poichè una nuova consultazione potrebbe rafforzare gli estremismi pronti a sfidare Bruxelles  sulle discipline di bilancio, sulle regole europee e sulle questioni di  politica estera.
Un ostacolo a una nuova tornata potrebbe essere il capo della Stato  Mattarella, unico attore istituzionale che ha il potere di sciogliere le Camere e convocare le elezioni anticipate. Seppur contrario a tale soluzione alla fine lo stesso inquilino del Quirinale potrebbe essere costretto a constatare  che il ritorno alle urne è   l’unica opzione rimasta.