L’intesa sulle elezioni dei presidenti di Camera e Senato, rispettivamente Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati,  è stata una sorprendente prova di raffinata tattica politica che dimostra senza ombra di dubbio la lungimiranza di Salvini e Di Maio che hanno guardato ben oltre la partita relativa alle due importanti cariche istituzionali ponendo dunque le basi per un nuovo accordo in grado di individuare la strategia opportuna che punta alla composizione del nuovo governo. E in tutta questa delicata fase in cui la diplomazia di palazzo ha vissuto ore di fermento Berlusconi e Renzi, i due grandi sconfitti della tornata elettorale, sono stati tagliati fuori, il loro ruolo è stato completamente nullo. Il Movimento 5 Stelle incassa la prima conquista, dopo il trionfo scaturito dalle urne il 4 marzo, piazzando alla presidenza di Montecitorio Roberto Fico, pentastelleto delle prima ora, eletto oltretutto con i voti di Forza Italia. L’aspetto sorprendente è che Berlusconi, ormai messo all’angolo da Salvini, ha dovuto accettare il candidato grillino senza il più pallido segnale che portasse a un incontro interlocutorio con il M5S. Di fatto al cavaliere è stato imposto Fico senza neppure la formalità di un riconoscimento  politico. Non solo. Berlusconi sembra che sia stato addirittura snobbato dallo stesso Di Maio quando quest’ultimo, dopo aver rifiutato più volte di sedersi al tavolo con Silvio, non ha voluto neppure parlargli al telefono. Insomma, Salvini ha giocato da leader del centrodestra – se tale fronte esiste ancora – imponendo a Berlusconi di votare il candidato imposto da Lega e M5S senza fiatare. I sogni di Berlusconi di ritrovare un nuovo feeling con i renziani si sono così dileguati in una notte. Addio Nazareno bis.

 

E’ evidente quindi che accordi di questo genere non sono il risultato di improvvise combinazioni fortunate di giornata ma dimostrano che tra Salvini e Di Maio c’è un costante e robusto filo diretto sapientemente costruito nel tempo (nelle ultime ore Di Maio ha addirittura dichiarato che Salvini è “uomo di parola”) a dimostrazione del fatto che i giovani eletti non sono così poi inesperti e impreparati – come sostenuto dai soliti detrattori vicini alla casta – nei giochini di palazzo riuscendo a dare oltretutto un sonoro schiaffo alla vecchia guardia arrivata al capolinea. Ma c’è di più. A preoccupare Berlusconi non è tanto vedere la sua Forza Italia stretta nella morsa di minoranza interna alla coalizione di centrodestra ma il futuro del suo impero che potrebbe tremare se nel prossimo futuro l’unione tra Lega e 5 Stelle si rafforzasse come è  nelle previsioni. Del resto le prime inquietudini erano palpabili nelle stanze di palazzo Grazioli nel momento in cui si era capito quale tipo di tenuta poteva avere il rapporto costituito dai  due protagonisti che hanno dettato le regole per l’elezione dei presidenti delle Camere e i risvolti che tale schema poteva riservare in futuro. E pensare al destino delle sue aziende per Berlusconi è stato inevitabile.

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Ora è naturale immaginare che gli equilibri finora stabiliti possano essere un buon viatico per una intesa politica per comporre la nuova squadra di governo. Non possiamo dimenticare infatti i vari passaggi che a conti fatti danno corpo a tali scenari. Berlusconi aveva giocato la carta Paolo Romani, capogruppo azzurro uscente, come candidato allo scranno più alto  della Camera sapendo che tale candidatura avrebbe incontrato l’assenso silenzioso  del Pd che in sede di votazione si sarebbe astenuto. In questo modo Romani, una volta eletto, poteva avere tutte le possibilità di azione per  tessere la tela del dialogo con i dem (che non aspettavano altro) come auspicato da sempre da Berlusconi  che ha tentato disperatamente di allontanare in ogni modo  lo spettro dell’accoppiata Lega-5  Stelle divenuto poi realtà. Ma la trappola del Cav non è scattata, Salvini ha mangiato la foglia e non ha impiegato un istante a silurare Romani e vanificare immediatamente le illusioni di Silvio. Il leader leghista ha così mostrato i muscoli forte del risultato elettorale e ha fatto capire a Berlusconi che adesso la musica la dirige lui e Di Maio. E indubbiamente questi due sono divenuti  gli attori principali dello scenario politico mettendo in luce tutte le debolezze degli altri.

Salvini è quindi diventato il capo dell’intero schieramento di centrodestra e spetta solo a lui  salire al Colle quando inizierà il giro delle consultazioni. Il resto della compagnia è composta da comprimari e basta. Immaginare poi chi riceverà l’incarico per formare l’esecutivo è un arcano, si entra nel vasto campo delle ipotesi. Tra le tante si potrebbe profilare all’orizzonte un ulteriore passo teso a consolidare l’unione tra Lega e 5 Stelle che potrebbero  giocare la carta del governo di scopo o del presidente. Di fatto una terza persona da mandare a palazzo Chigi  evitando in questo modo di essere coinvolti direttamente pur mantenendo il controllo dell’azione governativa. Questo consentirebbe sia a Salvini come al suo omologo pentastellato di prendere le distanze qualora alcuni dei principali impegni presi dinnanzi all’elettorato non dovessero essere pienamente realizzati. Facile immaginare che se dovessero fallire obiettivi come reddito di cittadinanza o flat  tax tale governo affonderebbe nel giro di poche ore.

Avanti tutta dunque, la velocità con cui si sono destreggiati Salvini e Di Maio ha dimostrato che l’intesa è davvero forte, che è stato costruito un rapporto di fiducia reciproco che sicuramente offre garanzie in vista della composizione del   prossimo governo. Naturalmente i due si presenteranno al Quirinale autocandidandosi alla guida del Paese ma una volta preso atto – come è già nelle cose – che sia il centrodestra come il Movimento 5 Stelle non hanno i numeri per governare i due attori principali torneranno a confrontarsi considerando, come detto, la chance della terza persona, ossia il governo del presidente.

Adesso la posta in gioco è ancora più alta. Dopo l’impianto perfettamente costruito sulle cariche istituzionali il passo che prefigura un accordo per l’esecutivo è breve. Il  fatto clamoroso è che nello schema che andrà delineandosi il ruolo di Berlusconi sarà marginale, da  comprimario, appunto. Tira brutta aria ormai tra gli azzurri che avvertono il partito sgretolarsi inesorabilmente e nel prossimo giro elettorale, che potrebbe essere a breve, molti berluscones stanno già pensando di abbandonare Forza Italia cercando candidature altrove. Dove? Nella Lega naturalmente. Difficile se non impossibile rimettere insieme i pezzi. Il tycoon delle televisioni capisce che la sua epoca volge al termine tuttavia cercherà in tutte le maniere di infilarsi tra le pieghe  dell’intesa Salvini Di Maio relativa al governo ma sarà alquanto improbabile che i pentastellati gli permettano l’incursione. Anche perché questo nuovo viatico che i due leader hanno intrapreso insieme porta consenso a entrambi e non consentiranno  a nessuno di incrinare il loro idillio.

Ecco perché la costruzione di un governo comune è l’ipotesi più  praticabile. Magari uno non riuscirà a portare a casa la flat tax e l’altro mancherà di centrare il reddito di cittadinanza ma anche se così fosse il vento in poppa continuerà a soffiare comunque. Sul tavolo ci sono questioni altrettanto pesanti che gli elettori ricordano bene: vitalizi, le misure sulle pensioni, il taglio agli sprechi. Senza dimenticare l’urgenza di varare una nuova e dignitosa legge elettorale che preveda un premio di maggioranza, un passaggio fondamentale che oggi darebbe un forte impulso in termini di preferenze  alla Lega e al M5S.  Piaccia o non piaccia il processo è inarrestabile. Come amano definirla da più parti dopo il 4 marzo è iniziata la Terza Repubblica con un cambio di rotta netto, epocale. Un tempo si assisteva al confronto tra destra e sinistra, poi si è passati a un periodo transitorio in cui la sfida era tra forze di sistema contro composizioni populiste che hanno portato alla fine all’attuale assetto che vede l’affermazione di un nuovo bipolarismo costituito da Salvini-Di Maio costruito sulle ceneri (e sugli errori) di Forza Italia e del Pd.  Il nodo delle cariche istituzionali è stato solo un assaggio.