eu-flags-76367261Il risultato delle elezioni del 4 marzo ha reso la formazione di un governo stabile davvero difficile aumentando le possibilità di un allentamento di bilancio e di un ulteriore indebolimento delle prospettive sul fronte delle riforme strutturali,  questo a sentire alcune analisi elaborate dalla burocrazia dell’Ue. In sostanza quello che terrorizza Bruxelles è l’affermazione delle cosiddette politiche populiste e la conseguente prospettiva di un esecutivo targato Lega – 5 Stelle fa  suonare un campanello di allarme, anche se tali forze hanno attenuato nel corso della campagna elettorale la loro retorica anti-euro.
Ora i negoziati di ipotetiche coalizioni saranno impegnativi   e non è certo azzardato prevedere che le trattative si protrarranno nelle prossime settimane.  La soluzione dunque è ancora lontana e non è chiaro in quale misura le piattaforme politiche dei potenziali soggetti coinvolti  possano trovare eventuali convergenze rendendo così incerta la composizione del prossimo esecutivo. Del resto si sa che il M5S, tradizionalmente, non è assolutamente disposto a stringere patti di lunga durata  con altri partiti, tuttavia i grillini  hanno più volte manifestato l’intenzione di essere pronti a collaborare con chiunque su determinate  politiche chiave che fanno parte del programma grillino anche se all’orizzonte incombe sempre minaccioso lo spettro  di nuove elezioni.
Intanto Salvini e Di Maio hanno  cominciato a parlarsi, la prima telefonata mercoledì scorso, in merito alla questione dell’elezione dei prossimi  presidenti delle Cemere e questo inizio di apertura viene letto da alcuni commentatori dell’eurozona come un primo passo per un governo di stampo populista. Ma per il momento si tratta di una lettura affrettata quanto  approssimativa.
Certo è che questi due partiti che hanno trionfato elettoralmente dovranno mettere da parte non poche divergenze qualora ci dovesse essere la volontà di costruire un rapporto di ampio respiro che vada oltre l’elezione dei presidenti di Camera e Senato.
Una alleanza – se così dovesse essere –  vista da parte dell’Unione come un esito destabilizzante declinato nella puntuale contestazione dei bilanci europei che impattano sul pesante debito dell’Italia.
Dall’altra parte Lega e  M5S hanno anche convergenze di notevole rilevanza che nel tempo potrebbero garantire un percorso comune. Ricordiamo gli attacchi a Renzi e al resto dei suoi capibastone come  le aspre critiche al governo Gentiloni o al mercato del lavoro. Senza dimenticare la spinosa questione banche – rimasta irrisolta – al problema emerso con i vaccini o la faccenda delle sanzioni alla Russia. Insomma, punti di contatto sui quali poter aprire un confronto ce ne sarebbero.
Ma rimane un’altra incognita: sia Salvini che Di Maio potrebbero far saltare il banco  per puntare a una vittoria più ampia con nuove elezioni a breve. E a questo punto il pieno di voti lo farebbero di sicuro e il leader leghista,  contestualmente, potrebbe realizzare un suo desiderio mai del tutto nascosto: sganciarsi definitivamente da Berlusconi uscito sconfitto dalla tornata elettorale. Forza Italia ha subito infatti un tracollo enorme in termini di consenso ottenendo con fatica  circa il 14%  cedendo così il passo alla Lega schizzata al 19%. Non solo. Il partito un tempo arroccato esclusivamente al nord ha sfondato oltretutto al sud con risultati sorprendenti. Basti pensare che solo a Macerata dall’1% di pochissimo tempo fa  è volata al 20%. Inevitabile quindi che il ventilato e tanto agognato sorpasso dei leghisti sugli azzurri diventasse  realtà.
Le formazioni euroscettiche hanno così stravinto, il verdetto è stato schiacciante, gli elettori hanno voltato le spalle alle forze di sinistra, che hanno subito una storica disfatta, e ai politicanti di turno incapaci, ingordi di potere impegnati a fare solo i propri interessi, se non addirittura corrotti, unici responsabili della stagnazione economica e di un mancato rilancio. Un cambio di rotta della politica nazionale che ha stravolto gli equilibri provocando  ripercussioni sull’establishment dell’ Unione europea che ora ha ricevuto una  sberla dall’Italia  proprio nel momento in cui pensava di rilanciarsi dopo la Brexit.
Un risultato che conferma la rivolta degli italiani contro l’èlite nazionale ed europea che ha fallito su i vari fronti (immigrazione in primis che ha visto il nostro Paese lasciato solo ad affrontare l’enorme emergenza letteralmente abbandonato dall’Ue), contro quella politica cialtrona che di fatto ha alimentato rabbia e demagogia, contro i traditori  che hanno deluso ogni aspettativa, contro quei politici che senza vergogna persistono a promettere e mai se ne vanno perchè mossi esclusivamente dalle loro ambizioni personali.
La clamorosa sconfitta del Pd ha un solo responsabile: Renzi, l’uomo che doveva rappresentare il futuro del centrosinistra ha invece registrato negli ultimi anni un flop spaventoso: dal 40% del 2014 ha affondato il partito portandolo al 19%. L’ex premier costretto a mollare la segreteria ha  fallito ogni tentativo di rinnovare la classe dirigente accumulando errori e sconfitte dimostrando l’incapacità di interpretare lo scontento della sua stessa base elettorale che lo ha abbandonato. Renzi ha lasciato dunque un partito in pieno dilemma passando il testimone al segretario reggente Maurizio Martina a cui spetta il gravoso compito di rimettere insieme i pezzi – se sarà possibile – con l’obiettivo di evitare la definitiva morte di ciò che rimane dei dem e del resto del centrosinistra. Sarà l’ex ministro a salire al Colle nel corso della girandola delle consultazioni e di certo non  potrà tirarsi indietro bocciando qualsiasi alleanza a priori (come vorrebbe Renzi) o eventuali appoggi esterni rifiutando di assumere determinate  responsabilità di fronte al Paese per poi dire magari alla fine (se si dovesse registrare un completo fallimento) “lo avevamo detto”.
Mail priva di virus. www.avast.com