Tutto è cominciato tre giorni fa a Mashhad, città dell’Iran occidentale di due milioni di abitanti, dove circa 300 persone si sono radunate per protestare contro l’aumento dei prezzi e in generale contro le politiche economiche del governo di Hassan Rouhani. Il giorno successivo, manifestazioni simili hanno interessato le città di Neyshabur e Birjand, estendendosi infine a Qom e Isfahan, nel centro e nell’ovest della Repubblica Islamica. Secondo il vice responsabile della sicurezza di Teheran, c’erano inoltre una cinquantina di persone riunite nella piazza principale della capitale Teheran il 29 dicembre
Secondo le autorità iraniane, le proteste sono state organizzate tramite la popolare applicazione per smartphone Telegram; l’amministrazione del presidente Rouhani ritene tuttavia che i veri responsabili dei disordini siano i conservatori. Mashhad non a caso è la città del religioso tradizionalista Ebrahim Raisi, il principale rivale di Rouhani alle elezioni presidenziali del maggio 2017, e del suocero di Raisi , il religioso radicale Ahmad Alamolhoda.
Riferendosi ai rivali di Rouhani, il vicepresidente Eshaq Jahangiri ha dichiarato: “Quando un movimento sociale e politico viene mandato in strada, chi lo ha avviato non sarà necessariamente in grado di controllarlo fino alla fine”. E ha aggiunto: ”Coloro che sono dietro a tali eventi si bruceranno le dita. Pensano che faranno del male al governo facendo così “.
Manifestazioni pro e contro il governo
Il 30 dicembre, dopo le proteste dei giorni precedenti, migliaia di persone sono scese in piazza per celebrare il “Dey 9 epic” e ricordare le manifestazioni storiche tenutesi il nono giorno del mese del calendario persiano di Dey, eventi che all’epoca misero fine ai disordini successivi alle elezioni presidenziali del 2009: di fatto, come testimoniano le immagini diffuse da Presstv, si è trattata una manifestazione a sostegno della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, e in generale contro le ingerenze straniere.
Nel frattempo gli Usa e il presidente Donald Trump approfittano della situazione interna nel Paese per soffiare sul fuoco delle proteste a aumentare la pressione sul governo: “La grande nazione iraniana considera il supporto opportunista dei funzionari americani verso alcune manifestazioni svoltesi negli ultimi giorni in alcune città iraniane come [parte] dell’inganno e dell’ipocrisia dell’amministrazione statunitense”, ha subito replicato il portavoce del Ministro degli Esteri Qassemi sabato.
Le aspettative (per ora tradite) dall’accordo sul nucleare
Ciò nonostante, un certo malcontento verso Rouhani è reale, anche se non è (solo) colpa del governo. Come sottolinea giustamente Alberto Negri, Rouhani ha fortemente deluso le aspettative crescenti per le ricadute positive sull’economia che sarebbero dovute derivare dall’accordo sul nucleare e che non ci sono state, non certo per colpa solo dell’Iran. Le grandi banche, spiega l’esperto, “erogano crediti con il contagocce temendo ritorsioni Usa. Le critiche a Rouhani sono venute da tutti i fronti, non solo quelli popolari ma anche della destra dura e pura. Ora bisogna vedere quanto c’è di interno e di esterno in questa protesta. E quanto di manipolato dagli avversari della presidenza”.
L’accordo sul nucleare ha dunque generato grandi aspettative nel paese – in parte – deluse. Intervistato da Al Jazeera Mohammad Maradi, professore presso l’Università di Teheran, spiega cosa sta accadendo nel Paese e perché ad oggi l’accordo sul nucleare non ha dato gli esiti sperati: “Dopo il JCPOA, gran parte del popolo iraniano sperava che la situazione economica sarebbe migliorata ma, come abbiamo constatato, sia l’ex presidente Barack Obama che Donald Trump hanno ripetutamente violato i termini dell’accordo approvando nuove misure contro l’Iran, come le sanzioni e la legge sulla restrizione dei visti”.
Gli iraniani scesi in piazza, osserva Marandi, sono in parte turbati dalla cattiva gestione di Rouhani, “ma riconoscono anche che all’attuale amministrazione viene impedito di portare avanti quello che vorrebbe fare a causa degli Stati Uniti e dei suoi alleati e delle sanzioni che ho menzionato”.
Non tutti protestano per le stesse ragioni
Sarebbe inoltre errato credere che i manifestanti protestino per le stesse ragioni: “Innanzitutto i manifestanti non sono numerosi e non tutti stanno cantando gli stessi slogan. Alcuni manifestano contro il governo, altri contro la politica estera iraniana. In Iran, – sottolinea – ogni volta che c’è qualche segno di malcontento, ci saranno sempre i think tank e i media occidentali a direche il regime sta per implodere e che è impopolare. Lo sentiamo da 39 anni e non mi aspetto che succeda
qualcosa di diverso in futuro”, afferma Marandi.
Carovita e inflazione in Iran
Come spiega Mohammad Ali Shabani, ricercatore presso presso la Soas di Londra ed editorialista di Al-Monitor, quando Rouhani è entrato in carica per la prima volta nell’agosto 2013, l’inflazione annuale si è attestata al 34,7%. Scontando questo annus horribilis, l’Iran ha registrato un’inflazione media dell’11,9% da marzo 2014, il dato più basso di qualsiasi presidente iraniano. Nel precedente anno iraniano che si è concluso il 20 marzo 2017, ha registrato una media dell’8,9%”.
Il problema dell’Iran, più che dal carovita, è derivato dalla disoccupazione, che si attesta sul 12% (Italia è dell’11,2%): “L’inflazione drasticamente ridotta e il ritorno alla crescita economica sotto Rouhani non si sono ancora tradotti in una sufficiente creazione di posti di lavoro. I benefici promessi dell’accordo nucleare – che ha rafforzato le finanze statali – non sono ancora stati percepiti dall’iraniano medio” medio”. (fonte GLI OCCHI DELLA GUERRA)