Uno stillicidio, una vergognosa persecuzione contro un servitore dello Stato autentico, Bruno Contrada.

Gli investigatori sono dunque tornati a casa dell’ex numero due del Sisde già tra l’altro perquisita nei giorni scorsi nell’ambito dell’indagine avviata dalla Procura antimafia di Reggio Calabria sul coinvolgimento della ‘ndrangheta nella stagione delle stragi, ossia in quel periodo da inquadrare in quella strategia stragista delle mafie per ricattare lo Stato con l’obiettivo di dimostrare l’esistenza della trattativa Stato-mafia.

Si tratta  dell’ennesima “visita” nel solito appartamento che ha portato, come del resto altre volte, a un nulla di fatto.

Anche questa una scelta degli uffici della Procura  andata sostanzialmente a vuoto  che si aggiunge alla storia che riguarda quella vicenda giudiziaria del superpoliziotto che proprio un paio di settimane fa, dopo una  via crucis durata 25 anni in seguito alle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, aveva ottenuto dalla Corte di Cassazione la revoca, tramite annullamento senza rinvio, della condanna dichiarata dai magistrati della Suprema Corte “ineseguibile e improduttiva di effetti penali” poiché il fatto non era previsto come reato.

L’altra mattina, verso le 8, due agenti della polizia giudiziaria di Reggio Calabria si sono nuovamente presentati alla porta di Bruno Contrada sostenendo di dover proseguire la perquisizione disposta nei giorni scorsi. Ma l’elemento che stona in  questa vicenda dell’incursione in casa Contrada è che i poliziatti non avrebbero avuto nessuna delega, nessun decreto di perquisizione. Non solo. Avrebbero preteso oltretutto di assumere la testimonianza dell’ex 007. A questo punto Contrada  ha chiamato  il suo avvocato Stefano Giordano che sull’episodio promette battaglia.  Il legale anticipa che chiederà  un incontro al capo della Polizia, Gabrielli, per spiegargli  alcuni particolari anche dal punto di vista disciplinare che riguardano i funzionari della Squadra mobile di Reggio Calabria che si sono recati da Contrada.

Tuttavia non è ancora del tutto chiaro perché ancora una volta le attenzioni degli inquirenti si stiano concentrando su Contrada, un uomo di 86 anni, di cui 10 passati in carcere dove neppure doveva entrare,  duramente provato nel corpo e nello spirito dopo terribili sofferenze,  cui recentemente la Cassazione ha revocato la condanna a dieci anni per concorso in associazione mafiosa. Come detto la casa era stata già stata perquisita mercoledì scorso nell’ambito dell’inchiesta “Ndrangheta stragista”, che ha portato all’arresto di Rocco Filippone e a nuove accuse per Giuseppe Graviano, considerati mandanti dei tre attentati contro i carabinieri messi a segno a Reggio Calabria tra il 1993 e il 1994.

E venendo  a questa perquisizione, in ordine di tempo la penultima del 26 luglio, ci si chiede se era proprio necessario che gli investigatori piombassero in casa di una persona ormai anziana, con una moglie tra l’altro malata, alle 4 del mattino come se si trattasse di una grande operazione, un blitz per beccare un super-ricercato dopo anni di latitanza.

E invece no, nulla di tutto questo. Anzi, c’è di peggio: viene da pensare che questa azione contro Contrada abbia il sapore quasi della “vendetta” contro quella sentenza di assoluzione della Cassazione.

A quanto si viene a sapere nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita mercoledì scorso non apparirebbero rifermenti diretti all’ex numero due del Sismi. Ma il nome di Contrada sarebbe messo in relazione a quello di Giovanni Pantaleone Aiello, ex agente della Squadra Mobile di Palermo, sospettato di avere avuto un ruolo centrale  in diverse vicende stragiste in un quadro di inquietanti rapporti fra criminalità organizzata e apparati statali deviati.

Ora Bruno Contrada, che è sempre stato solo a combattere, preso puntualmente  di mira dai media, chiede solamente di non essere più tormentato. Stanco, provato ripete con forza di aver sempre svolto il proprio dovere, nel rispetto della legge come un vero servitore dello Stato. Del risarcimento per i 10 anni passati in carcere ingiustamente non ne vuole sentire neppure parlare. Quello che invece gli sta a cuore, è che  venisse revocata la sua destituzione dalla Polizia.

In sostanza Contrada vorrebbe andarsene in pace, reintegrato nei suoi ranghi perché gli sia finalmente restituito quell’onore che gli  è stato scippato nell’ultimo quarto di secolo. Se lo Stato c’è  batta un colpo. Questo è il momento.