di Antonio Suraci
Gli attuali processi economico-finanziari si sottraggono agli storici strumenti degli stati nazionali e primi tra tutti alle politiche fiscali dei singoli stati.
Oggi lo Stato ha un potere di controllo diminuito a vantaggio di strutture sovranazionali le quali ancora non hanno loro stesse trovato un vero “diritto” applicabile con coerenza ed efficacia generalizzabile.
La riduzione della sovranità statale in campo economico ne riduce, quindi, la capacità nel governare quei processi sociali che vengono inglobati genericamente nel walfare state.
Lo scenario descritto ci consegna la prima vittima della globalizzazione e della liberalizzazione dei mercati: lo Stato, quale formazione giuridica e funzionale, stabilita nei suoi parametri nell’ultima parte del secolo corrente. L’adattamento progressivo dello Stato alle regole, ancora non codificate della globalizzazione, appare il primo problema da affrontare.
Il mancato adeguamento può provocare tensioni derivanti dalla disoccupazione interna, causando la reazione dei lavoratori in preda all’incertezza della loro sorte. Questo nuovo scenario che si schiude produce due inevitabili effetti: il primo riguarda la contrazione delle logiche del walfare state, il secondo il diverso ruolo dell’impresa nel mercato interno.
Gli impegni statali, derivanti dai processi di globalizzazione, si spostano dal piano del sostegno collettivo al piano di sostegno imprenditoriale pur con il pericolo di penalizzare fortemente il collettivo gravandolo di eccessivi pesi fiscali per il sostegno e lo sviluppo delle strutture sociali.
Nasce un nuovo scenario che è quello di un diversa strutturazione del mondo del lavoro e della conseguente mobilità.
Questo scenario richiede la consapevolezza, che non può essere fondata su parametri ideologici o dogmatici, della necessità di creare regole tese alla creazione di nuove alleanze per le garanzie e lo sviluppo delle società nazionali. Ciò pone in risalto l’inevitabile definizione dei ruoli tra Stato ed impresa e, quindi, la necessaria riscrittura delle regole.
Prioritario per lo Stato sarà il compito di indirizzare la propria azione, organizzandola (rivedendo anche le normative comunitarie), all’interno dei processi di globalizzazione aumentando il proprio peso funzionale, che non può essere teorico ma economico, nelle strutture sovranazionali.
La sovranità degli Stati dovrà essere ridefinita in riferimento alla forza dell’economia espressa da ciascuno nei mercati. E’ opinione che anche Draghi sostiene “I governi devono agire con forza per incoraggiare gli investimenti, includendo garanzie di Stato per le piccole e medie imprese, e, quando i conti glielo permettono, i governi devono spendere i soldi dello Stato.”
Problema centrale per tutti gli stati occidentali sarà quello di aumentare la ricchezza per il mantenimento di una sicurezza sociale che, comunque, dovrà essere razionalizzata e funzionale evitando sacche di assistenzialismo e definendo con precisione, in vista di una aumentata disoccupazione, il grado di sostegno sociale da parte dello Stato e forme alternative di lavoro per il mantenimento della dignità del cittadino.
Il depauperamento della società del walfare state provoca, se non guidato, inevitabili contestazioni sociali ad alto rischio per la stessa vita democratica. Compito irrinunciabile da parte dello Stato è la ri-distribuzione della ricchezza: una delle cause è il divario tra la tassazione e la remunirazione dei capitali e i redditi da lavori. E qui ci si addentra nel tema centrale delle alleanze. Se fino ad oggi l’impresa è stata considerata un male necessario arginabile, attraverso una legislazione del lavoro garantista per gli operai e gli impiegati, da domani, paradossalmente, si invertono i rapporti. Occorre creare un sistema che garantisca l’impresa dai pericoli della globalizzazione e dai mercati, garantendo, attraverso lo Stato, un mercato alternativo per il lavoratore non più in zona occupazione.
Tutti in questo nuovo scenario perderanno qualcosa: i lavoratori vedranno abbassata la soglia della sicurezza del lavoro, l’impresa non goderà più di finanziamenti avulsi dall’ampio contesto determinato dalle necessità dello stato sovranazionale.
I “finanziamenti a pioggia”, di cui ha goduto malamente il nostro sistema industriale, è terminata per sempre.
In tale contesto, non sarà più soltanto lo Stato a garantire la sicurezza sociale ma verrà chiamata, come partener privilegiato l’impresa, la quale entra a pieno titolo sulla scena politica divenendo “soggetto sociale”. Un modello di sviluppo che punti alla distribuzione del lavoro, del reddito e dell’accumulazione del capitale, una modalità di sviluppo quindi ecocompatibile e solidale incentrato su forme di una nuova economia capaci di creare diversa ricchezza e distribuire valore diffondendolo socialmente. A tal fine vanno riproposte le funzioni non solo di uno Stato regolatore, ma allo stesso tempo di Stato gestore e funzionale che redistribuisca reddito e ricchezza attraverso gli investimenti produttivi e la creazione di posti di lavoro con pieni diritti; attraverso un’equità fiscale che colpisca l’evasione, la speculazione dei capitali ad investimento finanziario e forme di tassazione complessiva dei capitali da destinare alla lotta alle povertà e per le esigenze socio-ambientali ed occupazionali; attraverso un’equità distibutiva che rafforzi lo Stato sociale e che determini un nuovo Welfare.
Fondamentalmente sino ad oggi si è parlato della responsabilità sociale sia degli imprenditori che dei lavoratori. Intendendo con tali espressioni una diretta partecipazione delle strutture private (aziende/associazioni) nel contribuire a sostenere attività a carattere solidaristico e culturale. Le associazioni sindacali, soprattutto a cavallo del secolo, hanno avuto strutture circolari di tutela e di sostegno ai propri affiliati, assumendosi “responsabilità sociali” solidaristiche anche se limitate.
Se per decenni il dibattito si è sviluppato intorno a questo tema, oggi lo stesso appare superato dalla globalizzazione affidando sia all’impresa che alle associazioni sindacali responsabilità ben maggiori rispetto a quanto definito giuridicamente sulla responsabilità verso gli azionisti e gli associati.
Ferme restando le distinzioni privatistiche sul governo di ciascun soggetto giuridico, possiamo dire che entrambi, avendo un diretto riconoscimento dallo Stato in termini di sostegno finanziario, siano divenuti dei beni sociali la cui conduzione, non in riferimento all’utilizzo del profitto o alla limitazione della lotta sindacale, deve rispondere ad un fine determinato nelle finalità che lo Stato determina nei fini sociali.
Si sosterrà che così è sempre accaduto, ma non è vero. Il più delle volte lo Stato si è piegato agli interessi particolari venendo meno, esso stesso per primo, alla funzione guida. L’impresa per sopravvivere nel processo della globalizzazione necessita di un partner forte, lo Stato, verso il quale avrà sempre più dei doveri sociali vuoi ambientali, vuoi occupazionali, vuoi di altra natura.
Non viene meno la libertà dell’impresa o dell’imprenditore, in capo ai quali permarranno le stesse caratteristiche di prima con l’unica eccezione che il loro potere verrà maggiormente limitato dall’assunzione di una responsabilità sociale maggiore, tra managenet ed amministratori.
L’assunzione della responsabilità, qualora la produzione dovesse rientrare tra le categorie vitali per la collettività, non può ricadere totalmente sull’imprenditore nè sulla collettività (es. la ricerca scientifica e teconologica), in quanto la limitazione della libertà di impresa non viene esercitata sul profitto o su vincoli di mercato che lo Stato oggi non può imporre se non quelli derivanti dalla struttura sovranazionale, ma la limitazione della libertà deriva dalla libera scelta di divenire l’impresa stessa un soggetto sociale necessitato di assistenza e di sostegno. Sarà il divenire reale come soggetto sociale da parte dell’impresa che ne trasformerà i doveri: da impegno garantistico dell’occupazione ad impegno solidaristico a tutela degli interessi collettivi superiori.
Il profitto costituirà il premio all’intelligenza del management o dell’imprenditore i quali non potranno più sottrarsi a volgere il loro sguardo verso l’orizzonte più limitato che è la società in cui vivono.
Errori di investimento a danno dell’occupazione, altro esempio, non sono più tollerati in un nuovo sistema globale.
Pertanto, vanno resi operativi e scientifici gli osservatori economici, così come vanno ampliati e industrializzati tutti i centri di ricerca in un concorso politico, economico e strumentale tra Stato ed impresa.
Se oggi la tutela dei posti di lavoro, difronte alle perturbazioni dei mercati, rappresenta l’emergenza alla quale lo Stato deve fare fronte, una diversa partecipazione dell’impresa alle diverse risoluzioni ante e post emergenza può creare i presupposti di uno sviluppo maggiormente equilibrato. Il mondo capitalistico industriale presenta in tal senso delle particolarità che inducono le imprese ed i lavoratori ad assumere delle decisioni solo in funzione delle conseguenze che queste avranno per loro, senza tenere nel debito conto i possibili effetti sul resto dell’economia. In tale contesto lo Stato viene sempre chiamato a tamponare detti effetti. Oggi nel quadro della globalizzazione lo Stato deve chiarire l’interesse, in via prioritaria, della società e lo può fare solo in una diversa ottica di collaborazione con l’impresa. Appare fondamentale una diversa corrispondenza tra Stato ed impresa. Più complessa è l’analisi da sviluppare tra Stato e mondo finanziario-bancario in quanto per tale analisi, rischiando di divenire evanescente non per le tesi esponibili ma per la dimostrazione delle stesse, occorre che i rapporti tra Stato e mondo finanziario-bancario si spostino sul tavolo sovranazionale mantenendo un interesse ‘interno’, richiedendo uno sforzo delle potenzialità odierna dei singoli Stati.
Per molti autori, esse sono in gran parte avulse dalla politica ordinaria e delle strutture pubbliche. Sono esercitate sul piano internazionale e sovranazionale da: Mercati Finanziari; Sistemi bancari; Banche Centrali e Banche Nazionali (residuate); Imprese Multinazionali e di livello nazionale; Centri di Analisi e supporto Internazionali; Operatori Privati e Case di investimento e intermediazione. Gli Stati non entrano in tale complessa rete di rapporti e processi economici, finanziari e monetari, “tranne che quando devono emettere titoli a copertura forzata di Deficit statali e di Bilancio”. In tale logica non può essere uno Stato che non sappia esattamente ciò che avviene su un percorso che crea gli sviluppi economici interni e di natura internazionale come nell’ultima crisi economica. Le crisi nascono anche per questa avversione di una corrispondenza tra Stato e organizzazioni internazionali i cui risultati non vengono aprioristicamente individuati.
Per anni si è discusso su quale fosse il primato dell’economia sul sociale o viceversa. Vi sono state
tante interpretazioni, molte delle quali facenti riferimento all’etica e tra le tante quella che riteneva che la produttività e l’efficienza fossero subordinate a valutazioni etiche per il raggiungimento dei più nobili fini sociali.
Riflettendo su questo notiamo come certe teorie, che hanno prevalso negli ultimi anni, non abbiano preso in considerazione, in modo compiuto, la rivoluzione mondiale in atto, continuando a vedere la funzione dello Stato relegata ad un ruolo secondari.
L’imprenditore deve facilitare l’incontro fra i singoli individui e comunità distinguendo gli obiettivi personali dalle finalità comunitarie, egli, inoltre, deve consentire la realizzazione del lavoratore come uomo, impedendo che lo stesso si senta alienato. Nel lavoro, l’alienazione si verifica quando lo stesso “ è organizzato in modo tale da massimizzare soltanto i suoi frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il proprio lavoro si realizzi di più o di meno come uomo, a seconda che cresca la sua partecipazione in un’autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione, nel quale egli è considerato solo come un mezzo e non come un fine”. Da ciò deriva il richiamo di alcuni all’esigenza di restituire all’imprenditore “responsabilità delimitate ma precise, adeguate al ruolo che un corretto ed efficace funzionamento sociale richiede”.
All’imprenditore, in sostanza, viene sollecitato un ruolo che non gli appartiene se non in una visione più complessa nel quadro di una convenzione partecipativa per la realizzazione delle finalità sociali. In questo quadro l’alleato è lo Stato e non i lavoratori della singola impresa.
Si riporta questa parte di riflessioni altrui per dimostrare cosa vada evitato nel programma di una nuova convenzione politica, pena, dopo innumerevoli parole, dimostrare di non aver capito nulla sui sistemi di rotazione della terra. Occorre stare molto attenti a tutte quelle teorie, ben costruite e sostenute adeguatamente sul piano morale da vecchie analisi ideologiche, che continuano a relegare lo Stato su un piano limitato salvo utilizzarlo nei momenti più difficili come salvagente. Oggi, al contrario, lo Stato è ancor più determinante di ieri in chiave di gestione e innovazione.
Il richiamo all’imprenditore, quale finalità da perseguire da quest’ultimo, è limitata in quanto questi, nel mondo contemporaneo, è chiamato a ben altro ruolo: quello di divenire partener efficace di una entità ben più forte sul piano politico in modo comprimario con lo Stato. Semmai a quest’ultimo e solo a questi dovranno appartenere le finalità richiamate , ma impegni solidali che, concorrendo a sostanziare i valori democratici, informino l’agire di diversi soggetti sociali.
Nessuno, da solo, limitando normativamente la libertà, è in grado di affrontare l’orizzonte del terzo millennio.
Occorre anche porre termine al romantico richiamo sulla tutela degli operai in quanto se oggi, come accennato nell’introduzione, si parla di lavoratori questi sono indiscutibilmente tutti i cittadini ed il singolo, come l’insieme, vanno tutelati. Questo è il punto centrale che una nuova democrazia deve comprendere. Certi valori non sono più esclusività di organizzazioni religiose od ideologiche, nel mondo occidentale appartengono alla essenza stessa della democrazia.
Il ruolo dello Stato non venga meno, ma lo stesso si trasforma, divenedo Stato realizzatore e indicatore di dettati costruiti in alleanza e soprattutto partecipe a quelli sovranazionali. Il che comporta una maggiore libertà nell’agire, da parte degli operatori economici, nella micro economia interna, e una determinata autodeterminazione delle imprese nella politica macroeconomica. Lo slogan “meno Stato più mercato” si annulla in “più Stato più mercato in una logica di convenzione partecipativa”.
Le garanzie di controllo sui meccanismi sovranazionali, direttamente incidenti sul mercato interno, non possono essere esclusivamente affidate alle regole del mercato il quale, comunque, rimane condizionato dalle politiche monetarie che appartengono in modo “quasi” esclusivo agli Stati, seppur in diversa natura negli organismi internazionali.
Anche i pilastri portanti della democrazia devono essere rivisitati e corretti. Da una istruzione che non istruisce occorre passare ad una istruzione funzionale al collettivo capace di insegnare la responsabilità nell’essere democratico e i problemi reali del divenire economico in una società che richiederà al singolo sempre maggiori sollecitazioni fisiche e psicologiche. Se non si rinsaldano i valori le sollecitazioni psicologiche diverranno sofferenza e negatività nei lavori che i più andranno a svolgere.
Pertanto, l’intero sistema dell’istruzione dovrà essere rivisto, non solo i sistemi giudicanti o i punteggi, quanto soprattutto i sistemi istruenti. Dall’istruzione derivano gli altri pilastri quelli che oggi rappresentano una giustizia non giusta, una sanità che non sana, basata ancora su principi umanitari i quali, pur costituendo la base stessa della sanità, stentano a divenire vere finalità per il cui raggiungimento sono richiesti parametri di efficienza ben superiori all’industria. Una solidarietà che rimane ancora ancorata a principi moralistici e non riesce a fare il salto di qualità nell’assumere la caratteristica di una funzione economica. Leggendo la sanità solo con la lente della morale non si dà corpo alle necessità che la stessa morale pone e che sono di derivazione economica: efficienza, tecnologia, professionalità.
I problemi che oggi uno Stato deve saper affrontare sono la globalizzazione, la logica dei mercati, la convenzione partecipativa e la solidarietà.
Ci troviamo ancora nella fase della concertazione tra le parti sociali, fase interessante ma superata in quanto in detta concertazione, come abbiamo innanzi sostenuto, ciascuno assesta i propri vantaggi a danno di uno Stato impotente.
La convenzione partecipativa inverte il rapporto affidando allo Stato la realizzazione di quei progetti sociali le cui finalità divengono di interesse collettivo.
Ed è, in quest’ottica, che l’interesse collettivo diviene il fine e questo provocherà, consapevolmente, un maggiore sviluppo industriale anche a salvaguardia dei diritti dei lavoratori.
Relativamente a quest’ultimo aspetto dobbiamo registrare come oggi la funzione del sindacato non sia più quella della lotta e delle rivendicazioni, ma quella di ammorbidire le tensioni sociali rispetto alla inevitabile crescente disoccupazione. Un ruolo di retroguardia che alla lunga penalizzerà il sindacato non potendo lo stesso svolgere un ruolo economico che appartiene ad altre componenti sociali o, se vogliamo, alle variabili internazionali.
Il sindacato nella confluenza partecipativa non perde il controllo ma lo rafforza attraverso la realizzazione demandata dallo Stato per il fine collettivo individuato in quel momento.
Se l’impresa, assumendosi dirette responsabilità non egoistiche nella società diviene soggetto sociale, pari trasformazione appartiene al sindacato: da soggetto indispensabile per la creazione e la realizzazione delle strategie globalizzanti.
La solidarietà nella società che si trasforma è il collante della nuova democrazia. Comunque, la transitorietà non sarà di breve periodo.
Oggi si affronta il tema della solidarietà come una elargizione mossa da spirito caritatevole pur stanziando diverse migliaia di miliardi.
Non l’abbiamo eletta a sistema ma rimane una spontaneità il più delle volte esercitata attraverso associazioni di volontariato.
Gli occhi si riempiono di lacrime quando i volontari corrono in zone disastrate, quando assistono i malati e via discorrendo.
Questa rappresentazione di una tipica realtà francescana verso la quale si nutre un grande rispetto, non risulta essere sufficiente e certamente non è efficiente così come non è esaustiva dei problemi che dovranno essere affrontati nel breve.
Alcuni problemi quali i poveri, i malati, i disastrati dovranno rientrare in una politica sociale organizzata e stabile, pur utilizzando i giovani volenterosi i quali non possono essere solo considerati dei volontari ma occorre creare per gli stessi (nei tempi e nei modi dovuti) delle precise norme di lavoro. Il volontario non ha orari, il volontario è mosso da una etica sensibile e superiore
alla massa, il volontario è indispensabile nel mondo contemporaneo, ma verso questi lo Stato non può erogare fondi senza controllo così come non può non inquadrare tali forme particolari di solidarietà in funzioni e strategie precise, creando centri di sostegno tecnico e garanzie di sussistenza per gli stessi volontari.
Questo è il richiamo ad una norma di coordinamento che non è contenuta all’interno del contenitore: solidarietà.
L’altro aspetto della solidarietà, verso il quale occorre prestare attenzione, è quello derivante dalla disoccupazione o dalla difficoltà di trovare un lavoro. Orbene queste difficoltà non possono essere lasciate alla vita del singolo ma occorre creare delle compensazioni all’egoismo dell’economia per i crescenti fabbisogni della società contemporanea. Meno lavoro non deve significare più infelici. Si lavora in pochi per le necessità dell’economia, ma si deve garantire a tutti il minimo livello di dignità umana in attesa di un lavoro.
E per far ciò è indispensabile ricorrere ad una convenzione partecipativa.
Se oggi i disoccupati o i non occupati non costituiscono un problema per la democrazia, nel prossimo futuro non è possibile scommettere.
Non si creeranno delle persone felici ma si chiederà loro, collettivamente, un tempo di attesa che deve essere in qualche modo risarcito.
Quindi la solidarietà diviene sistema, sia quella basata sul volontariato che quella di matrice disoccupazionale, e come tale rappresenta un aspetto economico non secondario nella nuova democrazia che avanza.
Rivedere il walfare all’italiana, il ruolo dell’Inps, le pensioni, le ore di lavoro, rappresentano tutte sfumature di una società che muore per il non avvertito problema posto dalla società che nasce.
In questo quadro se non si ha diritto alla vita, la difesa dei diritti acquisiti suona come una beffa.