False carte su Tiziano Renzi.

L’ufficiale indagato: avrebbe manipolato l’indagine

unnamedNon ci sarebbero parole per spiegare tali comportamenti assunti da un servitore dello  Stato al punto che ci si chiede se tutto questo sia vero e chi siano, se ci sono, gli altri autori del complotto. Pare essere tornati indietro di decenni quando nel nostro Paese si intrecciavano oscuri scenari tra politica e servizi deviati che altro non fanno che alimentare con maggiore vigore i dubbi, i sospetti e la sfiducia con cui gli italiani – a ragion veduta –  guardano le massime istituzioni.

E di questa ulteriore storia non ne avevamo proprio il bisogno. Alcuni passaggi della complessa inchiesta Consip sembravano ormai chiari e invece no, tutto crolla come un castello di sabbia, tutto torna nell’ombra, nel mistero assoluto alimentando le perplessità e interrogativi.

Per capire bene la questione di tale indagine forse bisogna ricordare che il 4 marzo scorso Giuseppe Pignatone, capo della Procura di Roma, decide di revocare al Noe, Nucelo operativo ecologico carabinieri, l’indagine sul presunto giro di mazzette e appalti pilotati alla centrale unica di acquisti e affidare il tutto al Nucleo investigativo dei Cc della capitale.

Una scelta che fin dall’inizio fece notevolmente discutere alimentando una serie di interrogativi sull’andamento del percorso investigativo. Ufficialmente gli inquirenti romani motivarono la decisione sostenendo che troppe furono le fughe di notizie coperte da segreto istruttorio. Ma a questo punto, vista la piega che ha preso la delicata questione, emerge che in realtà non si trattava tanto della solita fuga di notizie ma evidentemente, cosa ancor più importante,  i giudici avrebbero fiutato che qualcuno avrebbe alterato alcune fasi dell’inchiesta e dunque hanno tolto la titolarità dell’indagine al Noe.

Così l’altro giorno i dubbi, almeno per ora, sarebbero stati chiariti… salvo altri colpi di scena: i Pm titolari del caso Consip hanno contestato al capitano del Noe Giampaolo Scarfato, uno degli investigatori più determinanti per far luce sull’intera vicenda,  i reati di falso materiale e falso ideologico.

A detta dei magistrati il capitano  avrebbe volutamente manipolato alcuni passaggi dell’indagine avviata a suo tempo dalla Procura di Napoli e poi trasferita a Roma in cui, tra l’altro, risultano indagati altri personaggi di spicco come l’attuale ministro dello Sport Luca Lotti, il padre dell’ex premier Tiziano Renzi  e l’imprenditore Alfredo Romeo che si trova recluso da oltre un mese nel carcere di Regina Coeli con l’accusa di corruzione.

In sostanza i magistrati sarebbero convinti che l’ufficiale avrebbe sostenuto che nel corso degli accertamenti ci sarebbe stata la presenza dei servizi segreti  e per rafforzare tale tesi il militare, sempre stando a ciò che sostengono i Pm, nel redigere i rapporti avrebbe omesso informazioni ottenute attraverso lo svolgimento delle ricerche.

A dire il vero qualcuno di troppo c’era durante questi accertamenti ma non si tratterebbe, anche in questo caso è lecito avere qualche dubbio, di 007. Infatti i carabinieri avevano notato la presenza di un uomo  proprio nei momenti in cui gli investigatori avevano individuato e recuperato dei pezzi di carta, i famosi pizzini, nella spazzatura degli uffici di Romeo e quell’uomo  non sarebbe altro che un tizio qualunque che vive da quelle parti.

Ma c’è dell’altro che complica le cose e farebbe riferimento a uno dei punti di forza dell’intera vicenda Consip: il rapporto tra Tiziano Renzi e l’imprenditore Alfredo Romeo.

Il capitano Scarfato nello stendere il rapporto relativo a una intercettazione ambientale effettuata all’interno dell’ufficio di Roma della “Romeo Gestioni spa” qualche mese fa  avrebbe erroneamente attribuito a Romeo e  non a Italo Bocchino, ex deputato An partenopeo, una frase intercettata: “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato”.

A questo punto crolla buona parte dell’impianto accusatorio, viene meno la prova dell’’incontro tra Renzi padre e Romeo… e di conseguenza anche l’interesse mediatico ne risente.  Relativamente a tale incontro Bocchino è stato preciso e ha riferito ai magistrati di non aver mai avuto occasione di conoscere personalmente Tiziano Renzi. E riguardo l’intercettazione ha detto che quando ha nominato Renzi si riferiva all’ex presidente del Consiglio e non al padre Tiziano.

Ora sul caso Consip potrebbe essere naturale pensare a un complotto: il famoso contatto tra  l’imprenditore Romeo e Tiziano Renzi sarebbe una balla clamorosa, una manipolazione organizzata a dovere, così almeno per adesso sembrerebbe, e la battuta intercettata attribuita a Romeo sarebbe invece stata detta da Bocchino che parlava di Renzi jr.

Tuttavia è davvero incredibile e si stenta a credere che un capitano dell’Arma, esperto e considerato investigatore, possa commettere un tale errore dalle gravi conseguenze nonostante quello che sostengono i magistrati della Procura di Roma che hanno in mano l’inchiesta. Magistrati che, vagliate le carte, hanno indagato il capitano per falso materiale e falso ideologico perché “redigeva nell’esercizio delle sue funzioni” l’informativa finita agli atti dell’inchiesta Consip nella quale riferiva fatti, sempre secondo i magistrati, diversi da quelli accaduti. Insomma, per la Procura non ci sarebbero dubbi, sembra proprio che nel sottoscrivere il verbale siano stati alterati alcuni punti chiave. E se così fosse chi  potrebbe esserci dietro all’ufficiale dei Cc? E perché un tale professionista rispettato dai superiori si sarebbe prestato a questo gioco?

La faccenda della presunta falsificazione viene inoltre avvalorata dai magistrati romani secondo i quali la famosa frase incriminata “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” sarebbe stata detta senza ombra di dubbio da Bocchino visto che tale affermazione sarebbe stata correttamente trascritta da un maresciallo capo, Antonio Pascucci, attraverso un resoconto trasmesso a firma del vicebrigadiere Remo Reale. Se poi si aggiunge, come già detto, che lo stesso Bocchino ha riferito che stava parlando di Renzi figlio il cerchio si chiuderebbe… stando almeno così le cose.

Intanto l’ufficiale si è riservato la facoltà di non rispondere mandando avanti i suoi avvocati.

Tuttavia va detto che se avesse deciso il contrario avrebbe sicuramente contribuito a dare una decisa svolta alla complessa indagine dal momento  che lo stesso ufficiale nel suo rapporto relativo all’intercettazione della fatidica frase faceva sapere che quelle parole assumevano “uno straordinario valore e consentono di inchiodare alle sue responsabilità Tiziano Renzi in quanto dimostra che effettivamente il Romeo e il Renzi si siano incontrati”.

E invece sarebbe  andato tutto al contrario, Tiziano Renzi non viene assolutamente inchiodato a nessuna responsabilità poiché  sembrerebbe  che non vi sia mai stato nessun tipo di rapporto tra quest’ultimo e l’imprenditore napoletano Romeo. Dunque si torna al punto di partenza e la situazione inevitabilmente  si complica.

E chissà quanto ancora ci vorrà per fare luce su questa vicenda che riguarda la gara indetta nel 2014 per l’affidamento dei servizi gestionali degli uffici, delle università e dei centri di ricerca della Pubblica amministrazione, per una convenzione del valore totale di 2 miliardi e 700 milioni di euro e in cui Alfredo Romeo era in pole per un bando da quasi 700 milioni di euro. Un appalto quindi di grande peso per una azienda in grado di aggiudicarselo, non c’è che dire.

A sua volta Tiziano Renzi sarebbe finito nell’inchiesta in quanto indagato per traffico di influenze, come l’imprenditore farmaceutico toscano Carlo Russo e Italo Bocchino, consulente di Alfredo Romeo.

In sostanza per la Procura il manager Romeo per aggiudicarsi il grosso appalto avrebbe tentato  di mettersi in contatto con personaggi di spicco che ruotano nell’ambiente politico. Tra questi ci sarebbero anche esponenti vicini a Matteo Renzi che per Romeo avrebbero potuto garantirgli le condizioni necessarie per un buon esito legato all’aggiudicazione dell’appalto. A tutto questo si aggiungerebbe una  testimonianza chiave che potrebbe confermare le pressioni di Romeo: quella data dall’Ad di Consip Luigi Marroni che avrebbe riferito ai giudici di essere stato avvertito dell’esistenza di una indagine e della presenza di microspie negli uffici Consip da Luca Lotti, oggi ministro dello sport – e vicinissimo a Matteo Renzi – , e dal generale Saltalamacchia. Ora da questo groviglio va a sapere che cosa ne uscirà. Certo è che  Tiziano Renzi ne esce a testa alta.

Ma al di là di tutto resta la delusione di non riuscire mai a trovare il bandolo della matassa, gli interrogativi si moltiplicano su questo caso che potremmo definire come una fucina creata al fine di manipolare e fabbricare prove ai danni di chi?

Ma sono andate realmente così le cose? Perché un graduato dei carabinieri avrebbe agito in questa maniera? E poi avrebbe  fatto tutto da solo o ci sono dietro altri personaggi? Di sicuro c’è che l’azione solitaria non è molto credibile.

Ecco perchè  si avverte l’odore delle trame segrete, del complotto che coinvolgerebbe apparati dello Stato strategici. E questo è deleterio per gli italiani che già vedono le istituzioni lontane dalle reali necessità quotidiane. E adesso tra la gente aumenterà comprensibilmente quel senso di sfiducia in cui si guarda allo Stato e ai suoi massimi rappresentanti.

Questo sì che è una certezza.