di Francesco Graffigna

codice-penale-imagoeconomica-835Il 15 marzo 2017 il Senato con 256 voti favorevoli, 121 contrari e un’astensione, ha approvato il DDL n. 2067 – cosiddetta riforma Orlando – recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”. Il testo approvato dalla Commissione Giustizia del Senato, di cui si discute da diversi anni, composto da 40 articoli suddivisi in cinque titoli, tornerà alla camera, come sembra ormai certo, per la ratifica definitiva.

Le modifiche al codice penale e a quello di procedura penale vertono in  particolare sul “rafforzamento delle garanzie difensive, sulla durata ragionevole dei processi e sull’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”.

Il provvedimento, detto in minimi termini, prevede una riforma della prescrizione, la delega al governo sulle intercettazioni ed un inasprimento su  furti, rapine e altri reati.

In primo luogo, per quanto riguarda la prescrizione, i tempi saranno materialmente allungati istituendo due periodi durante i quali il decorso sarà sospeso. Pertanto, dopo la condanna in primo grado il termine sarà sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque non oltre i 18 mesi. Stesse tempistiche per la condanna in appello.

In pratica, da quando sarà introdotta la legge, la prescrizione potrà scattare fino a tre anni più tardi rispetto ai termini odierni, per effetto dei due nuovi periodi.

Mentre, per rendere più certo il tempo delle indagini si stabilisce che, scaduto il termine per le indagini preliminari, che resta quello attualmente in vigore, il Pm dovrà chiedere rinvio a giudizio o archiviazione in un termine tassativo di tre mesi (prorogabili a sei) oltre il quale scatterà l’avocazione obbligatoria da parte della Procura generale. Provvedimento questo, volto ad evitare che i procedimenti si fossilizzino a tempo indeterminato una volta concluse le indagini, prima di sfociare nella richiesta al Gip.

In secondo luogo, il maxiemendamento affida al governo una delega in materia di intercettazioni, in cui rispetto alla legge attuale, il magistrato non si limiterà ad allegare il contenuto delle intercettazioni nella documentazione che deposita a conclusione delle indagini preliminari, composta da atti pubblici a disposizione della difesa e dei giornalisti, ma dovrà selezionare solo quelle rilevanti (che la difesa potrà visionare, ma non avere a disposizione).

Questo al fine di bilanciare la riservatezza delle comunicazioni con le esigenze di ricerca della prova nel processo, limitando  il diritto di cronaca, talvolta sciacallamente alla ricerca di fatti di puro interesse pubblico ed irrilevanti penalmente, allo scopo ultimo di tutelare la privacy di persone non direttamente coinvolte nelle indagini.

In terzo luogo, ed è senz’altro questo il punto meno controverso, il testo prevede l’inasprimento delle pene per furti in abitazione, scippi, rapine e per l’estorsione aggravata.

Al centro dell’ordinamento penitenziario viene posta dogmaticamente la  rieducazione, tramite per esempio, il lavoro retribuito o il volontariato dentro o fuori dal carcere, riconoscendo e potenziando inoltre l’assistenza psichiatriica e il riconoscimento del diritto all’affettività.

“Sebbene intitolato (almeno inizialmente)  al “rafforzamento delle garanzie” e alla tutela della “ragionevole durata dei processi”, opera su temi fondamentali in senso opposto allargando a dismisura l’applicazione del “processo a distanza”, mortificando la dignità dell’imputato e violando fondamentali principi convenzionali e costituzionali” cosi l’Unione delle Camere Penali Italiane commenta il via libera del Senato alla riforma del processo penale, deliberando l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria dal 20 al 24 marzo.

Di stessa opinione e non meno aspro è il commento dell’Associazione Nazionale Magistrati, secondo cui “far passare enfaticamente come risolutiva dei problemi della giustizia penale, una riforma non organica che rallenta i processi, si tradurrà ancora una volta in un danno per i cittadini: molte delle norme approvate, non solo non contribuiranno all’accelerazione dei processi, ma sono paradossalmente destinate a creare una stasi negli uffici giudiziari, rallentando il lavoro delle Procure, fino a bloccarlo completamente e a portarlo al collasso, con evidenti conseguenze negative sull’efficienza dell’intero  sistema”.

processo-penale-responsabile-civile-e1489698746555-700x406Il problema enunciato dagli “addetti ai lavori” pone in evidenza che tale intervento legislativo, che potrebbe essere definitivamente approvato, andrebbe ad incidere sia su aspetti sostanziali sia su aspetti processuali dell’ordinamento, allungando ulteriormente i tempi già molto ampi della giustizia.

Posizioni antitetiche quelle tra il legislatore ed i togati, nelle quali il primo con le migliori intenzioni cerca soluzioni alla cristallizzazione di un procedimento, come quello italiano,  sempre più oberato e sovrafunzionalizzato, mentre i secondi, consci di  tutto ciò, nella riforma non vedono altro che un ulteriore macigno da sostenere.

Allora, alla luce dei principi del giusto processo e della ragionevole durata del medesimo, riconosciuti dalla legge e sanciti nell’art. 111 della Costituzione,  c’è da domandarsi,  e se la cura fosse peggio del male?