Di Domenico Ricciotti
I primi quattro anni del pontificato
di papa Francesco
Da quella sera del 13 marzo del 2013, quando l’ormai ex cardinale di Buenos Aires, eletto romano pontefice della Chiesa Cattolica, in quanto nuovo vescovo di Roma, si affacciò dalla loggia di San Pietro e salutò in questo modo il popolo romano e i pellegrini che erano in attesa, tutti gli osservatori capirono che il clima improvvisamente era cambiato. Qualcuno tentò anche di fare l’accostamento con il saluto che fece dalla medesima loggia l’appena eletto Giovanni Paolo II, ma le persone come parimenti i modi erano e sono totalmente diversi.
Mentre Giovanni Paolo II, con la sua elezione, aveva rotto una tradizione plurisecolare di pontefici solamente italiani, papa Francesco, italo-argentino, si richiamava alle sue radici italiane e nel nome al patrono d’Italia, san Francesco. Ma la differenza la si capì subito per i modi: mentre il papa polacco aveva ben salde e forti le radici della tradizione della cristianità d’oltre cortina e un’esperienza di fede dogmatica senza tentennamenti, il papa argentino, figlio dell’esperienza gesuitica e della tragedia dittatoriale militare, ha modi più semplici, è meno dogmatico e più rivolto ai bisogni anche materiali della gente.
Per Bergoglio la fede è figlia di una vita vissuta a servizio della comunità dei credenti in ogni angolo del mondo, mentre per Wojtyla la vita è figlia della fede e coerentemente è servizio alla comunità dei credenti. Per paradosso siamo a quanto affermava nella sua epistola cattolica san Giacomo: la fede senza le opere è morta in se. Ma in questo caso le opere ci sono tutte, come per la fede, ma l’una è conseguenza delle altre, in Giovanni Paolo II, mentre in Francesco le une sono conseguenza dell’altra. Non è contraddizione e non esiste opposizione in questo, ma è lo scorrere della vita e del tempo che ognuno dei pontefici interpreta nel modo a lui più vicino. Pensate a quante volte si è paragonato papa Paolo VI e papa Giovanni XXIII. Eppure, più passa il tempo e più viene rivalutata l’opera pontificale di pastore d’anime svolta da Montini, la cui grandezza dottrinale e pastorale aumenta con il tempo come la comprensione della sua opera.
Bergoglio pone al centro di tutta la sua opera pastorale l’uomo nella sua umanità misconosciuta e si pone con attenzione dalla parte del più debole ed indifeso. Da questo suo operare discendono le ragione della sua fede. L’uomo sofferente rappresenta il Cristo sofferente condotto alla croce. Stare dalla parte dell’umanità reietta significa stare dalla parte del Cristo e compiere le opere del Signore. Per questo motivo papa Bergoglio è carismatico, nei suoi modi semplici da antico contadino piemontese; per questo è amato in modo spontaneo dalla gente, favorito anche dall’atteggiamento algido del suo predecessore.
E qui arriviamo ad un punto nodale. Il papa teologo si dimette, non si comprende ancora per quale motivo reale, e il conclave elegge un papa pastore, completamente diverso per carattere e azione dal precedente. La fermezza dottrinale di Benedetto XVI non era strettamente e aprioristicamente dogmatica, ma era intimamente legata al Cristo delle Sacre Scritture. L’azione pastorale di Francesco non è un semplice modus operandi in contrapposizione al suo diretto predecessore, ma anche in questo caso discende direttamente dal Cristo così come emerge dalle Sacre Scritture. Ma la dottrina in Francesco è lo sfondo sul quale si dipana l’azione pastorale. Per Benedetto è la base che permette all’azione di dipanarsi, anzi l’unico fondamento. Il trinomio Fede – Speranza – Carità in Benedetto va letto in questa sequenza, mentre in Bergoglio va letto al contrario, ovvero Carità – Speranza – Fede; per l’uno è la partenza, mentre per l’altro è il punto d’arrivo.
La dottrina discende dalla fedeltà all’amore del Cristo che però ha bisogno di essere composta da due elementi qualificanti: l’azione pastorale, ovvero la Carità, che è il frutto, ma anche la base solida della dottrina, che è le Fede, che è la radice di ogni azione; il tutto condito con molta Speranza, che serve a quell’ottimismo di ogni buon cristiano che alla fine il bene trionferà.
In fondo san Paolo sottolineava come la Fede sia fondamento delle cose che non si vedono e certezza delle cose che si sperano. Se affianchiamo a questa frase quella sopra ricordata di San Giacomo sulle opere spieghiamo tutti i pontificati del secolo scorso e di questo inizio di secolo.