di Domenico Ricciotti
Il tragico caso della morte di dj Fabo è ancora ben presente alla nostra coscienza. Questa ci pone una serie inevitabile di domande alle quali è così difficile dare risposte convincenti ed esaustive. Come fa uno che non vive quella condizione a giudicare chi invece vive quella “vita – non vita” sospesa ad una macchina e così insopportabilmente fuori dal mondo di noi normodotati.
La vita si deve sempre vivere e vale la pena di essere vissuta. Facile a dirsi quando tutto intorno a noi e dentro di noi ci sorride. Difficile a dirsi quando tutto ciò che era prima ci è negato, quando nessun muscolo ci risponde più, quando anche la vista, oltre al movimento, ci ha lasciato solamente il ricordo. E tutto il proprio mondo è il letto nel quale, malgrado la nostra volontà, si giace.
Dj Fabo amava la vita, ma a causa di un banale incidente è stato inchiodato su un letto solo con la sua vigile coscienza, privo di qualsiasi movimento, privato perfino di guardare quel mondo che gli era ormai negato. Egli ha scelto di andare in Svizzera per addormentarsi e così lasciarsi definitivamente alla spalle quel mondo ormai negato e che poteva solo ricordare con la mente.
Certo il suicidio è una scelta tragica estrema e senza alcuna possibilità di ritorno. Si deve fare di tutto per non istigarlo, e se si viene a conoscenza si deve cercare di convincere il potenziale suicida a non mettere in pratica il suo proposito. Ma bisogna anche rimuovere le cause che spingono la gente a tentare il suicidio. Tutto giusto. Però, fino a che punto ci si deve spingere? E nel caso di malati incurabili è lecito protrarre le cure oltre ogni evidenza e causare anziché la guarigione o l’evitare la sofferenza, provocarla invece per tragico paradosso?
Il caso di Eluana Englaro è ancora di stringente attualità. Il caso di dj Fabo è lì di fronte a noi e stride con la nostra coscienza. Si dirà due casi limite. E’ vero, ma sono molti di più di quello che si pensa e che la nostra coscienza ammette.
Bisogna precisare che la medicina deve per sua stessa finalità salvaguardare la vita e difenderla. Almeno fino a che questo è possibile. Ecco la prima questione fondamentale: difendere sempre la vita? E se questa significa dolore insopportabile, se significa la perdita totale di dignità, se significa una sorta di non vita, anche in questi casi la medicina deve difendere la vita ad oltranza? La medicina deve essere curativa, ovvero deve essere praticata per giungere ad una guarigione oppure a un vivere in modo dignitoso. Ma se la vita a seguito di qualsiasi accidente, naturale o artificiale, diventa invivibile, insopportabile allora è giusto che la medicina provveda, anziché a curare, a far morire. La morte è la sconfitta della medicina. Ma la vita ad ogni costo è giusta?
Quante domande e nessuna risposta.
La dolorosa scelta di dj Fabo è umanamente comprensibile e solo chi si trova nella sua situazione potrà dire se è anche condivisibile. La medicina deve lavorare ad oltranza, oppure deve fermarsi prima dell’accanimento terapeutico? Nessuna questione religiosa o morale, la chiesa dice alla medicina di fermarsi e non scegliere la strada dell’accanimento terapeutico. Ma quando la coscienza è ancora presente è giusto scegliere la dolce morte? Certo la dignità è un bene imprescindibile della persona umana e quando questa cessa, il suo posto è occupato dalla disperazione. Per questo grande rispetto per la persona, chiusa nel suo immenso dolore, che sceglie di lasciare questa vita di insopportabili sofferenze e addormentarsi in un sonno senza più alcun ritorno.