Destano meno preoccupazioni
quelle francesi
di Domenico Ricciotti
Pochi se ne accorgono, ma il mondo sta cambiando assai rapidamente. Nessuno poteva immaginare alla vigilia che la Brexit avrebbe vinto. Eppure ha vinto. Alla vigilia nessuno pronosticava, scommettendoci sopra meno di un dollaro, la vittoria di Trump alle presidenziali americane. Ma tant’è, Trump ha vinto e ora è il presidente legittimo degli USA.
In Italia l’informazione ancora non si è accorta che il mondo inizia a girare in senso opposto a come i poteri forti vorrebbero. Eppure, dato che si è costretti, bisogna iniziare a fare i conti con la realtà, che può piacere oppure no, ma è sempre la realtà. E questa bisogna raccontarla per comprenderla e fornire al lettore gli strumenti culturali di comprensione per, eventualmente, tentare così di modificarla democraticamente.
La realtà ci racconta che l’Europa è in gravissima crisi, che non è una crisi di crescita o di riallineamento delle idee con le istituzioni, ma una crisi esistenziale, forse letale. L’euroburcrazia giustifica la sua esistenza emanando regolamenti perfino su formaggi, cetrioli e uova, ma non riesce a gestire i flussi migratori, le politiche di solidarietà, la moneta unica, il debito sovrano, le emergenze e così via discorrendo. L’euroburocrazia, per la propria sopravvivenza, fagocita miliardi di euro senza risultare efficace nella soluzione dei problemi europei, scaricando tutto sulla politica europea, che a sua volta è paralizzata dagli interessi nazionali. In questo caso, quegli stati dell’Europa dell’est, che si sono aggregati per ultimi, rappresentano assieme alla Germania, all’Olanda e ai Paesi Baltici con la Polonia e l’Ungheria, il maggior ostacolo ad una vera idea di Europa per via del loro egoismo.
La crisi economica più devastante da quando si è affermata la rivoluzione industriale (sicuramente più difficile della crisi del 1929) sta evidenziando non solo i limiti di una unione posticcia, ma sta facendo esplodere l’unione economica, dato che manca di una vera unione politica ed una visione popolare europea, schiacciata di fatto dalla forza economica di alcuni stati forti (Germania in testa).
Nel corso del 2017 avremo in parte le risposte politiche alla crisi europea. Sarà l’anno delle elezioni presidenziali in Francia, nella primavera, e quelle generali in Germania, in autunno.
In Francia, benché tutto porti a pensare che al primo turno trionfi il Fronte Nazionale con il suo candidato Marine Le Pen, al secondo turno, quello decisivo, si potrebbe riproporre quanto già accadde nell’elezione di Sarkozy, ovvero tutti i voti dei partiti alternativi alla Le Pen confluirebbero sul candidato opposto alla Le Pen stessa, in questo caso Fillon per la destra moderata o Hamon per i socialisti, con possibili sorprese. E benché il programma politico della Le Pen rischi, nei fatti e soprattutto nelle intenzioni, di far esplodere l’Unione Europea, tutto lascia prevedere una soluzione più tranquilla, data proprio dalla prevedibile sconfitta della Le Pen al ballottaggio.
Diversa, e ancora assolutamente incerta, la partita politica che si sta giocando in Germania in vista delle elezioni generali del prossimo autunno. La Merkel, il candidato unico dei conservatori tedeschi, concorre per ottenere un quarto mandato alla cancelleria federale, superando Adenauer e lo stesso Kohl. In questa situazione è partita nei sondaggi fortissima, ribadendo la forza del blocco CDU-CSU, almeno finché il suo concorrente candidato per SPD era l’attuale vice cancelliere Gabriel. I sondaggi lo davano sconfitto in tutte le simulazioni di almeno 5 punti. Gabriel, infatti, per poca credibilità non avrebbe potuto rappresentare qualcosa di diverso, dato che a Berlino nel governo federale ha sempre condiviso le scelte germano-centriche della Merkel e del suo perfido e tirannico ministro dell’economia Wolfgang Schäuble. Per fortuna dei socialdemocratici Gabriel, mettendo da parte le sue ambizioni personali e pur di evitare una sicura sconfitta, con la speranza di ottenere nel futuro governo federale un ministero importante, ha lasciato il passo all’ex presidente del parlamento europeo Martin Schulz, dato che quest’ultimo, sebbene con toni molto concilianti verso il proprio governo, ha espresso punti di vista e posizioni differenti rispetto al governo federale, soprattutto in tema economico. E i sondaggi lo hanno subito premiato. E’ stata una cavalcata trionfale. Ha ridotto prima il divario con la Merkel, successivamente l’ha scavalcata e, infine, la staccata nettamente con un divario di almeno 11 punti. Neppure i piccoli scandaletti di quando presiedeva il parlamento europeo ne hanno ancora intaccato la presa sull’elettorato tedesco.
La prospettiva ad oggi è questa. La Merkel ha bloccato l’emorragia di voti verso l’estrema destra, a costo di rivedere le sue posizioni sia sul diritto d’asilo con la conseguente riduzione dei flussi migratori verso la Germania, sia sulle politiche economiche ancora più in difesa dei vantaggi tedeschi, addirittura ventilando una sua riflessione sull’euro con nostalgie per il vecchio marco, oltre che critica non nascosta per la BCE di Mario Draghi e all’alleato USA dell’attuale trumpismo. Tuttavia, questo spazio al centro, lasciato libero dal blocco CDU-CSU, non è stato occupato dal vecchio partito liberale, ma dai socialdemocratici della SPD di Schulz, che nella attuale crisi economica europea rappresentano agli occhi dell’elettorato tedesco un interlocutore più coerente e sicuro; anche perché la sinistra è presidiata stabilmente dalla Linke, ovvero gli ex comunisti della DDR e i rigoristi del verbo socialista, ma anche dal partito dei Verdi.
Gli osservatori ritengono che alla fine vi sarà nuovamente una grande coalizione SPD e CDU-CSU, ma non bisogna farne troppo conto. Stando ai sondaggi, ad oggi questo sarebbe lo scenario più probabile, ma basta lo scostamento del 2 o 3 % dell’elettorato (la famosa “forchetta” dei sondagisti) e tutto cambierebbe. Infatti, con la stabilizzazione dei due partiti della sinistra ed un successo del SPD, Schulz non credo che tenterebbe di riproporre la grande coalizione, viste le posizioni estreme assunte in tema economico dal duo Merkel-Schäuble, anche tenendo presente la fine marginale che, dopo la grande coalizione, hanno fatto i due partiti fratelli in Austria, a tutto vantaggio dell’estrema destra. E con le mani libere e di fatto dominando questa coalizione, Schulz potrebbe imprimere una svolta alla politica tedesca riguardo l’Europa, cambiando il volto alla stessa Unione. La Linke e i Verdi non potrebbero condizionare questa posizione, anzi se ne assumerebbero pure il merito.
Aspettiamo e vedremo.