Centro-destra e centro-sinistra
non se la passano molto bene
Neppure i grillini,
con il caso Raggi stanno meglio
di Domenico Ricciotti
Appena è calata l’attenzione dei media sul Movimento 5 Stelle in pieno marasma a Roma per le inchieste sulla giunta capitolina di Virginia Raggi, ecco che si accendono i riflettori mediatici sul Partito Democratico.
Nel PD, infatti, si assiste quotidianamente ad una vera e propria guerra per bande. Non che prima tutto fosse calmo, anzi, ma ora, grazie all’azione di Massimo D’Alema, tutto è emerso alla luce del sole. Da una parte il segretario politico nazionale, Matteo Renzi, uscito sonoramente sconfitto al referendum che ha bocciato le riforme costituzionali targate Boschi, che dopo aver perso Palazzo Chigi a favore del grigiore da monsù Travet della sua fotocopia Gentiloni, si è arroccato in difesa con il suo Giglio Magico al Nazareno e da lì sta cercando di riconquistare una leadership ormai incerta e in declino inesorabile. Dall’altra parte i “sette nani” ovvero Bersani, Speranza, Rossi, Emiliano e compagnia bella, che aspirano non tanto ad ottenere un congresso in tempi brevi, dove non riuscirebbero a trasformarsi in maggioranza, ma puntano solo ad un lenta e costante azione di logoramento del segretario fino alla totale dissoluzione del suo potere. Fuori ormai c’è D’Alema con i suoi fedelissimi, che come recita il saggio cinese, si è posto sul greto del fiume e aspetta di veder passare il cadavere politico di Renzi, il suo rottamatore. Infine, al centro del PD ci sono due personaggi in cerca d’autore, ovvero l’ex segretario Dario Franceschini con il suo gruppone di ex popolari e il gruppo dei Giovani Turchi capeggiato una volta dal duo Orfini, oggi renziano di ferro, e soprattutto il ministro Orlando, che invece aspira a divenire l’uomo del dialogo e della ricomposizione pacifica di un PD ormai polverizzato in mille gruppuscoli.
E questa è la situazione del PD tra minacce di scissioni e ventilati colpi di mano assembleari e congressuali. L’unica cosa certa è che Renzi non vuole mollare la poltrona di segretario, perché da lì si decidono le candidature, si occupano anche i posti di potere, e nessuno, anche il segretario, vuole arrivare alle elezioni anticipate. Ma alla fine, anche se solo di qualche mese, questo sarà l’inevitabile sbocco della legislatura.
Ma se Atene piange, Sparta certo non ride. E, in questo caso, Sparta è la rappresentazione del centro-destra.
Forza Italia inizia a riprendersi nei sondaggi, ma è ancora dietro la Lega Nord. Berlusconi è ancora fuori dai giochi della politica per le conseguenze di alcune sentenze e sta in trepida attesa di una sentenza del tribunale europeo che lo riabiliti e gli restituisca la possibilità di scendere nuovamente nel campo della politica attiva e essere ricandidabile. Ma il tempo passa e la sentenza non arriva ancora.
Quindi ha tutto l’interesse a non andare ad elezioni anticipate, se non dopo la auspicata sentenza, sempre che gli sia favorevole. Ma quando si andrà alla urne, si dovrà avere un sistema omogeneo tra camera e senato e sentenza della Consulta. Quale sarà per Berlusconi il premio di maggioranza? L’ex cav sembra propendere per un sistema proporzionale con un premio alla lista e non alla coalizione, questo gli permetterebbe di avere mani libere appena chiuse le urne, per frenare la competizione sulla leadership nel centro-destra con Salvini. Tuttavia, il problema maggiore non è tanto sul programma, sul quale moltissime sono le convergenze sia con Fratelli D’Italia e con la Lega Nord, ma sul tema del mantenimento dell’€uro come moneta. Questione che dovrà essere affrontata con decisione dopo le elezioni presidenziali francesi di primavera e quelle tedesche di autunno. Quindi, è importante rinviare le elezioni alla primavera 2018 proponendo una riforma della legge elettorale uscita dalla Consulta.
In conclusione, il caos politico italiano genera la paralisi del sistema. Tutti fremono per posizionarsi e riposizionarsi, giorno per giorno, in modo da rendersi più visibili rispetto agli avversari interni ed esterni. Ma alla fine della fiera sarà, come sempre, il popolo elettore, anzi il popolo bue, che paziente sarà inevitabilmente macellato tra finanziarie lacrime e sangue e manovrine da pochi miliardi di euro decise non a Roma, ma a Bruxelles.