di Domenico Ricciotti

Finalmente il 2016, anno bisesto e anno funesto è terminato, ma ci ha lasciato una eredità molto pesante.

Se guardiamo lo scenario internazionale, non intravvediamo alcuna prospettiva di miglioramento per quanto riguarda la lotta al terrorismo internazionale: Anzi tutto lascia supporre una intensificazione dell’attività terroristica, anche in quegli stati o zone del mondo fino adesso risparmiate. E l’Italia sarà in prima linea.

Da un punto di vista economico, in Europa le difficoltà permarranno e con l’Italia in deflazione, per la prima volta dal 1959, l’economia non inizierà a riprendersi così stagnando. Aggiungiamo che su questa situazione influirà anche l’anno europeo caratterizzato da elezioni politiche nazionali importantissime, perché si voterà in Francia per le presidenziali e in Germania per le politiche. E a questo dobbiamo aggiungere la probabilità che tra giugno e ottobre si voti per le politiche anche in Italia. Con questa miscela politica ed economica, oltre alla difficile situazione sociale che si vive in ogni parte del globo e al terrorismo islamista, le prospettive sono nere o grigio molto scure, certo non rosee.

Altro enigma che pesa sulle prospettive internazionali è l’incognita di Donald Trump. Spieghiamo subito che la sua elezione alla presidenza USA è perfettamente legittima. Il problema è che non si riesce ancora ad inquadrare il suo modo di concepire il ruolo degli USA nella politica internazionale e quale sia la sua idea in campo sociale ed economico. Questo potrebbe essere una grande sorpresa, come lo fu Ronald Reagan che con la sua reaganomic riuscì ad invertire sorprendentemente il corso dell’economia americana, tuttavia solo nel corso del suo secondo mandato. Di quella politica se ne sono avvantaggiati i presidenti Bush padre e Clinton, e perfino il primo mandato di Bush figlio. Ma la crisi internazionale non concede molto tempo a Trump per impratichirsi del mestiere di Presidente della maggior potenza occidentale.

Tornando in Europa, l’incognita maggiore non sono le elezioni tedesche, in quanto la vittoria della Merkel e della CDU appare scontata sui socialdemocratici del SPD, soprattutto dopo il ventilato ritiro dalla competizione tedesca del candidato cancelliere Martin Schulz a favore del presidente del partito Sigmar Gabriel. Nel caso di una non vittoria della Merkel, sarà sempre lei a guidare una grande coalizione CDU E SPD. Ma l’aspetto inquietante sarà il risultato che otterrà l’estrema destra Alleanza per la Germania (AfD) guidata dalla giovane Frauke Petry, che è un mistero politico. Maggiore sarà l’affermazione del partito della Petry, più difficile sarà trovare la soluzione politica per dare una prospettiva di ampio respiro alla asfittica politica tedesca, tutta piegata sul rigore antiinflazionistico e con la paura di precipitare nella crisi economica.

Il caso francese è per certi versi diverso, ma uguale. Marine Le Pen è sulla scena da molti anni e in questo periodo ha tentato di sdoganare la destra francese che, dai tempi del padre, era chiusa in un ghetto. Oggi si presenta alla guida del maggior partito francese e sicuramente arriverà al ballottaggio per la presidenza della Repubblica come candidato più votato. Ma al ballottaggio il secondo non sarà il candidato socialista, ancora da scegliere dopo il ritiro di Holland. Sarà il nuovo leader del centrodestra moderato François Fillon, che ha mandato finalmente a casa Sarkozy, a sfidare la Le Pen, dato che le previsioni danno per fuori dal ballottaggio il candidato socialista, qualunque esso sia. Se Fillon al ballottaggio otterrà l’appoggio dei socialisti, come ottenne Jacques Chirac nelle presidenziali del 2002 contro Jean-Marie Le Pen, non ci sarà scampo per la Le Pen. Ma visti gli insuccessi dei sondagisti in questi anni, è meglio non pronunziarsi. L’incognita resta.

Infine l’Italia. Renzi scalpita per andare subito alle elezioni anticipate e freme per fare subito una nuova legge elettorale, dopo il giudizio della Consulta. Mattarella, Gentiloni, Berlusconi, Alfano e Verdini non hanno fretta; quelli che hanno sicuramente freetta sono Salvini e la Meloni perché vogliono ribaltare gli equilibri nel centro destra. Ma perché Renzi ha fretta? Semplice, comprende che con il referendum si è creato, tra la gente che lo vota, una schiera di pretoriani fedelissimi, ma la sua leadership nel paese è fortemente messa in discussione, mentre nel partito i suoi avversari sono ogni giorno più forti e se riuscissero anche a coalizzarsi per lui sarebbe la fine. Se convoca ora il congresso non ha la certezza della vittoria. Quindi, il congresso sarà convocato solo quando gli equilibri interni saranno ritornati in suo favore. La strategia è anche dettata dal fatto che i suoi fedelissimi, Boschi e Lotti, sono in evidente difficoltà. Quindi, basso profilo per tutti. E il governo, pur affidato a un grigio fedelissimo, rischia di raggiungere alcuni inattesi risultati e provocare uno smottamento nei consensi a favore dei suoi avversari. Berlusconi non ha fretta dato che deve riabilitarsi e ristabilire i rapporti di forza con Salvini e Meloni, abbandonando al loro destino, forse dopo un suo impulso, sia Alfano che Verdini. La legge elettorale resta per tutti un alibi, anche per i grillini, che adesso iniziano ad aver paura di governare. Si veda il caso Roma.

Il resto lo scopriremo solo vivendo.