Samira Sabzian l’ultima giustiziata, il 20 dicembre. Ma centinaia impiccati, molti giovani. I dissidenti iraniani chiedono di isolare il regime di Teheran
Samira Sabzian è stata giustiziata in nome di Dio il 20 dicembre. Un’altra impiccagione, dopo 9 anni nella prigione di Qezel Hesar, una delle tante famigerate carceri iraniane, dove avvengono le torture più aberranti.
La magistratura del regime di Khamenei, in seguito ai consueti processi farsa, ha impiccato la giovane donna data in sposa a soli 15 anni ad un uomo adulto che la maltrattava. Samira, madre di sue bambini, era accusata di aver ucciso il marito padrone, una delle tante vittime di un sistema clericale islamico che prevede i matrimoni tra adulti e bambini.
Le esecuzioni
In contemporanea, al grido di Allah Akbar, il cappio si è stretto intorno al collo di un detenuto curdo di nome 32 anni, Farzad Gol Mohammadi. Stessa sorte per Najibullah Dahmardeh impiccato alla gru dopo che il boia ha baciato la corda.
Il 19 dicembre, Ismail Mansouri (Ijbari) è stato impiccato con un altro prigioniero nella prigione di Qezel Hesar. Un prigioniero di nome Moslim Farahani è stato impiccato nella prigione centrale di Zanjan e il 18 dicembre Ali Poorsiamak nella prigione di Neyshabur.
Circa 710 impiccagioni sono state eseguite da settembre 2022 ad oggi, più della metà è stata inflitta a minoranze etniche. Sono in carcere oltre 20 mila prigionieri politici e di minoranze religiose, centinaia di loro si trovano nel braccio della morte.
Le proteste
La popolazione del centro e della periferia è scesa in piazza per protestare contro la violenza del regime. Manifestazioni da parte di tutti, in particolare di donne, una nuova generazione di giovani nati sotto un regime ultra quarantennale, che dichiarano di non aver niente da perdere e sono disposti anche a pagare con la vita.
Il regime degli ayatollah ha intensificato gli arresti durante le proteste in tutto il Paese, le torture e la repressione, nel tentativo di sedare le rivolte finalizzate a rivendicare diritti e libertà. I giovanissimi scendono nelle piazze a mani nude, le ragazze sventolando il velo a capo scoperto; “via la Repubblica islamica” è il motto urlato ovunque.
Il corpo di Samira ha sventolato nel vuoto dell’indifferenza internazionale, 18 donne sono state impiccate nel 2023 in un Paese dove vengono condannati i minori colpevoli di “guerra contro Dio”, dopo aver subito torture, stupri e mutilazioni. I giovani che vengono liberati, quasi sempre si suicidano a causa dei traumi subiti in carcere.
I dissidenti iraniani chiedono a gran voce che gli organismi internazionali condannino il regime per i continui crimini commessi, e salvare le vite dei condannati a morte, “Questo regime deve essere espulso dalla comunità internazionale e i suoi leader, in particolare Khamenei, Raisi ed Eje’i, devono essere consegnati alla giustizia per quattro decenni di crimini contro l’umanità”, hanno dichiarato.
Loredana Biffo – Atlantico Quotidiano